Caro operaio,
non si direbbe. Ma scrivere a te, che con altri ottantamila compagni di lavoro strappi la vita in una delle trecento fabbriche di morte disseminate in Italia, è più difficile che scrivere al Sottosegretario della Difesa.
Si, perché a protestare sulla produzione delle armi con i funzionari delle cancellerie diplomatiche, male che vada, ti tiri addosso solo un po’ di compatimento e qualche sorriso divertito sulla tua ingenuità.
Ti diranno, ammiccando, di apprezzare molto i tuoi vaporosi aneliti di pace, ma che poi bisogna sapere stare con i piedi per terra.
Ti faranno intendere con eleganza che a un vescovo si addice meglio tracciare benedizioni solenni, piuttosto che impicciarsi di fabbriche di armi e dei relativi traffici clandestini.
Al massimo, con le manovre della più scoperta sufficienza, ti esprimeranno il fastidio di dover discutere di certe cose con chi sa solo citare il profeta Amos o S. Tommaso o, all’occorrenza, qualche teologo della liberazione, ma poi non sa nulla di Keynes o di Galbraith o di tutte le diavolerie della scienza economica.
Tutto sommato però, se si sa sostenere il peso dell’ironia, ti verranno sottomano tali argomentazioni da “scacco matto”, che si possono mettere in crisi anche i ragionamenti più sofisticati.
Scrivere a te, invece, riesce quasi impossibile. Perché non regge a nessuno l’animo di dirti che, se pure incolpevolmente, tu collabori a seminare morte sulla terra.
E neanche io te lo voglio dire.
Hai già tanti problemi sulle spalle, che non mi sento di gravarti la coscienza di un ulteriore fardello.
Sei così preoccupato, come tutti i lavoratori, dagli spettri della fame, che non mi và di intossicarti anche quei quattro soldi che ti danno.
Hai così viva la percezione di essere vittima di una squallida catena di sfruttamento, che sarebbe crudeltà dirti senza mezzi termini che, oltre che oppresso, sei anche oppressore.
Mi sembrerebbe di ucciderti moralmente prima ancora che le armi confezionate dalle tue mani potessero fare strage di altri innocenti.
Povero fratello operaio. Sei veramente “chiuso in una spira mortale” direbbe Ungaretti che non era un economista neppure lui, e neanche un alto funzionario dei ministeri romani. Ma era un uomo.
Quell’uomo che ti auguro di riscoprire in te, e che ti fa vomitare di disturbo di fronte all’ipocrisia di chi, con un occhio piange di commozione sulla fame del Terzo Mondo, e con l’altro fa cenno d’intesa con i generali.
Quell’uomo che si ribella in te quando scorge che, dopo mezzo secolo, c’è ancora chi in alto loco è sensibile al fascino di antichi ritornelli imperiali, trascritti purtroppo sullo stesso pentagramma di profitto:” colonnello non voglio pane; voglio piombo pel mio moschetto!”.
Quell’uomo nascosto in te, che impallidisce di orrore quando si accorge che il desiderio segreto (se non l’istigazione palese) degli industriali della morte è quello che le armi da loro prodotte vengano usate, dal momento che il consumo, secondo le più elementari leggi di mercato conosciute anche da chi non sa nulla di Keynes o di Galbraith, è l’asse portante di ogni rapporto commerciale.
Quell’uomo che nelle profondità del tuo spirito freme di sdegno quando si accorge che la gente, più che lo smantellamento delle fabbriche maledette, chiede solo l’abolizione del segreto che copre il traffico d’armi. O quando il governo decide di non vendere strumenti di morte solo ai pazzi più esagitati del manicomio internazionale. Come se, dirottando in zone più tranquille gli strumenti di guerra, non rimanesse sempre in piedi la stessa logica distruttiva.
Quell’uomo interiore che rimane mortificato quando sa che la stessa cifra stanziata dall’Italia per armamenti, destinata invece per programmi civili, creerebbe trentamila posti di lavoro in più.
Quell’uomo pulito che dorme dentro di te, e che la sera, quando torni a casa, ti spinge ad accarezzare senza titubanze il volto dolcissimo della tua donna; e ti fa porre le mani sul capo incontaminato dei tuoi figli, senza paura che un giorno si ritorcano su di loro, come un tragico boomerang, le armi che quelle stesse mani hanno costruito.
Certo, se io fossi coraggioso come Giovanni Paolo II, dovrei ripeterti le sue parole accorate:“ Siano disertati i laboratori e le officine della morte per i laboratori della vita!”.
Ma, a parte il debito di audacia, debbo riconoscere che il Papa si rivolgeva agli scienziati. I quali, di solito almeno economicamente, hanno più di una ruota di scorta. Tu invece ne sei privo. E anche le ruote necessarie, se non sono proprio forate, hanno le gomme troppo lisce perché tu possa permetterti manovre pericolose.
Non ti esorto perciò, almeno per ora, a quella forte testimonianza profetica di pagare, con la perdita del posto di lavoro, il rifiuto di collaborare alla costruzione di strumenti di morte.
Ma ti incoraggio a batterti perché si attui al più presto, e in termini perentori, la conversione dell’industria bellica in impianti civili, produttori di beni, atti a migliorare la qualità della vita.
E’ un progetto che và portato avanti. Da te. Dai sindacati. Da tutti. Con urgenza. Con forza. Chiedendo solidarietà. Invocando consensi.
Forse l’ultima alternativa per il mondo sei proprio tu, povero operaio, che vivi all’epicentro di questo apocalittico vortice di morte.
Non scoraggiarti. Tu sei la nostra superstite speranza. Se tutti gli ottantamila compagni di lavoro si mobiliteranno, il sogno di Isaia diverrà presto realtà.
Anzi, ci pare già di vedere, quasi in una miracolosa dissolvenza cinematografica, le spade che si trasformano in vomeri tra le tue mani, e le lance che si incurvano in falci al sole della primavera. Mentre la scritta “the end” si sovrappone non a commentare immagini di catastrofi planetarie ma a concludere per sempre l’era lunghissima della nostra preistoria.
Ti abbraccio
2 febbraio 1986
+don Tonino Bello vescovo (profeta di Pace)
(…) “Se voi però avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora io vi dirò che io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri. E se voi avete il diritto di insegnare che italiani e stranieri possono lecitamente anzi eroicamente squartarsi a vicenda, allora io reclamo il diritto che anche i poveri possono e debbono combattere i ricchi. E almeno nella scelta dei mezzi sono migliore di voi: le armi che voi approvate sono orribili macchine per uccidere, mutilare, distruggere, far orfani e vedove. Le uniche armi che approvo io sono nobili e incruente: lo sciopero e il voto.” (…)
don Lorenzo Milani, L’Obbedienza non è più una virtù, LEF, Firenze, 1965
************
PRIMO MAGGIO 2011
Per celebrare il primo maggio riportiamo, qui di seguito, la Ninna nanna della guerra di Trilussa.
Da parte nostra ricordiamo che le guerre e le produzioni belliche sono sempre contro i lavoratori.
Per gli F-35, che verranno assemblati a Cameri, lo stato italiano vuole investire 18 miliardi di euro (o anche più di 20). Per aerei da guerra e da combattimento, che possono portare pure armamento atomico e che sono destinati a “normalizzare” i conflitti che scoppieranno inevitabilmente nei paesi più poveri del mondo, contro dittature e miseria sempre in aumento. Questi gioiellini sono già stati prenotati pure da paesi totalitari ed oppressori.
Quindi spenderemo così del denaro che verrà sottratto alle miserie nostrane: sanità, scuola, sistemazione di tutti i precari, risanamento ambientale...
Si continua a morire sui posti di lavoro, mentre si vogliono adoperare operai ed impiegati per uccidere altri sfruttati in ogni parte del mondo.
Il nostro Primo Maggio non sarà con chi sfilerà nei cortei insieme con chi produce strumenti di morte e di distruzione.
Ninna nanna della guerra (di Trilussa)
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che comanna,
che comanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza,
o a vantaggio de una fede,
per un Dio che nun vede,
ma che serve da riparo
ar sovrano macellaro;
che quer covo d'assassini
che c'insanguina la tera
sa benone che la guera
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finché dura 'sto macello,
fa la ninna, che domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima,
boni amichi come prima;
so' cuggini, e fra parenti
nun se fanno complimenti!
Torneranno più cordiali
li rapporti personali
e, riuniti infra de loro,
senza l'ombra de un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la pace e sur lavoro
pe' quer popolo cojone
risparmiato dar cannone. (Trilussa)
Da: CIRCOLO ZABRISKIE POINT NOVARA http://www.zetapoint.org/
************
LA DOPPIA VITA DELLA FIOM
Se si seguono le cronache movimentistiche e sindacali, ci si imbatte per forza nella vecchia carissima FIOM. La vetusta ed onorata organizzazione dei metalmeccanici della CGIL procede nella sua vita e nelle sue azioni politico-sindacali circondata da un'aura di sacralità. È uso comune, pure tra i più radicaleggianti ed addirittura tra i rivoluzionari dopolavoristici, circondare la FIOM di un rispetto assoluto. Si tratterebbe di una vera organizzazione di massa antagonista (o quasi), della speranza del residuo di comunisti impegnati nel mondo del lavoro, dell'exemplum principale citato da intellettuali ed uomini di mondo che vogliono apparire alternativi.
La FIOM stava a Genova nel 2001. Mentre la CGIL, almeno ufficialmente, non c'era. I disperati fiommini che facevano i cordoni proteggi-corteo il 21 luglio 2001 sono, per alcuni, una piccola icona del movimentismo altermondialista nostrano. Il fatto che tali cordoni siano stati del tutto inutili (e forse dannosi) è cosa che ora non ci interessa discutere. Ci basta ribadire che la FIOM c'era; come c'era in numerose altre circostanze consimili: per esempio c'era al Social Forum Europeo di Firenze del 2002. In quest'ultima circostanza, in verità, c'era pure la CGIL confederazione, ma la FIOM ne costituiva comunque la punta di diamante. Chi non ricorda i plotoni compatti delle pettorine gialle di CGIL in fondo al corteone del “milione” in marcia verso il piazzale dello stadio? Chi non ricorda la loro splendida supplenza delle forze dell'ordine leggermente defilate nelle strade laterali (comunque pronte ad intervenire ove fossero state chiamate a divertimenti in stile genovese)? Chi non ricorda la potente ramazza in coda al corteone medesimo?
Ma comunque FIOM era là: con tutti i compagni più radicali, più rivoluzionari, più noglobal che si può.
È inutile proseguire con esempi similari: chi frequenta cortei nei quali “già la testa è arrivata all'arrivo mentre la coda è ancora alla partenza” sa bene di che cosa si sta ora scrivendo.
Meno nota è invece la propensione realistica della FIOM in veste strettamente sindacale. Quando il gioco si fa serio, la FIOM è davvero seria e sa mettere tra parentesi inutili velleità ribellistiche.
Per esempio, riguardo alle fabbriche d'armi la FIOM sa essere davvero ammodo.
Recentemente si sono viste le bandiere di FIOM garrire al venticello romano durante la manifestazione organizzata da Emergency contro la guerra in Libia (e contro tutte le guerre, ovviamente). La FIOM stava, ancora una volta, con i veri compagni pacifisti o addirittura antimilitaristi. La FIOM con il resto dei giusti, cioè con i pochi che hanno mantenuto una posizione chiara di contrasto nei confronti di tutte le guerre (senza se e senza ma, come si diceva in un recente passato ormai sepolto da tonnellate di macerie).
Eppure un inghippo c'è. Una problema c'è, anche se si fa fatica a vederlo. Anche se chi può vederlo non vuole vederlo. Anche se ci si limita semplicemente a minimizzare la cosa.
Il problema sta nel fatto che FIOM rappresenta pure migliaia di lavoratori dipendenti delle fabbriche di armi. E del loro destino, da buon sindacato, si occupa attivamente. E del loro posto di lavoro, da buon sindacato, si occupa alacremente, seppure con successo non sempre pieno.
Di conseguenza, alla FIOM sta bene (benissimo) che le fabbriche d'armi continuino a produrre armi. Anzi: che ne producano ancora di più, in modo da garantire la persistenza del posto di lavoro dei suoi affiliati. O, addirittura, in modo che i posti di lavoro in questo particolare settore metalmeccanico si accrescano ulteriormente: anche se ciò è davvero difficile, nell'attuale congiuntura economica.
Negli animi sensibili produce comunque una certa sgradevole impressione vedere le bandiere rosse di FIOM sventolare nel corso di cortei e presidi “pacifisti” e poi leggere le dichiarazioni di alcuni suoi esponenti di non secondario rilievo.
Per esempio, attorno alla metà di marzo, il segretario provinciale della FIOM torinese ebbe a dire le seguenti parole: “Si teme che l'investimento previsto su Cameri, contro cui non abbiamo nulla in contrario, non sia aggiuntivo al polo torinese, ma alternativo”.
Dunque la “pacifista” FIOM non ha nulla in contrario riguardo alla costruzione della fabbrica dei cacciabombardieri F-35 a Cameri.
Il progetto JSF, targato Lockheed e Alenia, non incontra lo sfavore e l'opposizione da parte dei fiommini. Costruire qualche centinaio di cacciabombardieri invisibili, che potrebbero pure imbarcare armamento nucleare, non smuove di molto il cuore ardito dei veri sindacalisti antagonisti. E se l'Italia ne comprerà più di un centinaio, spendendo circa 18 miliardi di euro, ciò susciterà, prima o poi, l'indignazione dell'unico vero sindacato della sinistra sociale italica? Per ora sembra proprio di no.
In realtà la CGIL si è un po' mossa, ultimamente, a tale riguardo. Nell'estate scorsa, il direttivo della Camera del lavoro novarese ha votato un documento critico e di opposizione nei confronti della produzione e dell'acquisto degli F-35. Un documento certo non radicale, ma comunque segno di una piccola svolta, dal momento che, fino ad allora, la CGIL novarese non si era mai pronunciata contro tale progetto ed anzi aveva seguito le orme degli altri sindacati di Stato, apprezzando la numerosità dei nuovi posti di lavoro che la fabbrica di morte porterebbe senza tema al territorio insubre.
Una svolta a metà, però: al documento estivo non è stato dato alcun seguito pratico. Nessun sindacalista cigiellino o fiommino si è mai presentato in veste ufficiale ai presidi o alle manifestazioni contro gli F-35. Qualcuno è pure venuto, ma sempre sotto mentite spoglie o come singolo spaiato cittadino esprimente la sua singola posizione pacifista (o, addirittura, antimilitarista). Recentemente poi, il segretario della Camera del lavoro novarese, intervistato dal settimanale della diocesi locale, ha tenuto a precisare che “per ora” la CGIL di Novara è contraria alla fabbrica per gli F-35 (in quanto non è credibile che porterà un significativo incremento di posti di lavoro sul territorio), ma che è pronta a cambiare idea di fronte a novità significative.
Ma torniamo alla FIOM torinese. È del tutto naturale che la RSU dell'Alenia sia preoccupata che la nuova impresa possa portare alla perdita di posti di lavoro nelle sedi di Caselle e di Torino. Naturale che si metta in discussione, nelle sedi appropriate di contrattazione e di consultazione, la paura della chiusura degli stabilimenti già esistenti, che verrebbero infatti annientati da un mirabile e fantastico progetto di costituzione di un polo aeronautico nell'est del Piemonte (un polo in stretto contatto col distretto aerospaziale ed armiero del varesotto limitrofo). Si può capire tutto.
Non si può però capire la frasetta del segretario provinciale torinese a proposito del progetto F-35 (o JSF, come meglio si vuol chiamare): “non abbiamo nulla in contrario”. Cioè: FIOM, in quanto sindacato, non ha nulla in contrario riguardo alla costruzione di una fabbricona per gli F-35, non ha nulla in contrario che vengano costruiti nuovi cacciabombardieri di quinta generazione, non ha nulla in contrario che si producano armi d'attacco ed utili alla conquista ed al controllo di territori ed al dominio ed all'asservimento di popolazioni ed alla rapina di risorse naturali d'ogni genere, non ha nulla in contrario che lo Stato spenda poi 18 miliardi di euro per acquistare tali gioielli tecnologici, nulla in contrario.
E però poi FIOM produce la sua immancabile Epifania in ogni manifestazione di rilievo nazionale nella quale ci sia da sostenere una posizione pacifista (o, addirittura, antimilitarista). Evidentemente l'ufficio sindacale che si occupa di relazioni industriali e di contrattazione parla poco con l'ufficio che si occupa di relazioni internazionali e dei contatti con i movimenti sociali. Si parlano poco: può essere questo il problema.
Oppure, più probabilmente, la questione è un'altra. In realtà FIOM, come la gran parte della cosiddetta sinistra “radicale”, si barcamena come può. Da un lato, in quanto organizzazione formale seria e di grandi dimensioni, adotta una politica realistica e di buon senso istituzionale: e quindi affianca e sostiene le industrie nazionali, qualunque sia l'oggetto da esse prodotto. Dall'altro lato, in forza di non si sa quale tradizione inesistente, si inserisce organicamente all'interno dei movimenti pacifisti (o, addirittura, antimilitaristi), svolgendo diversi compiti funzionali alla conquista di un'egemonia operativa all'interno dei succitati movimenti.
Sarebbe interessante vedere, un giorno, uno come Gino Strada chiedere ragione ad uno come Maurizio Landini della strana schizofrenia della FIOM: industrialista ad oltranza con gli armieri e poi pacifista con i marciatori arcobaleno.
Ma forse qui si sta esagerando in moralismo all'antica; qui si pretende una coerenza tra pensiero ed azione, e tra azione ed azione, che pochi sono usi sostenere o cercare di raggiungere. Per lo più si naviga a vista (e lo fa pure la formidabile FIOM), tentando di raggranellare consenso ed adesioni: da un lato ci si deve tener buoni gli operai di Alenia e della altre fabbriche di morte (tesserati e paganti), dall'altro lato ci sono clienti diversi e con diverse esigenze, cioè i sempre meno numerosi pacifisti borghesi dai buoni sentimenti. Una grande organizzazione può ben differenziare il prodotto che offre sul mercato: c'è una FIOM per tutti, non c'è di che preoccuparsi.
8 aprile 2011
Dom Argiropulo di Zab
****************
Nessun commento:
Posta un commento