martedì 19 aprile 2011

Lamento in morte di Vittorio Arrigoni


“Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli imprescindibili.” Bertolt Brech

Vittorio Arrigoni era un imprescindibile. Vittorio faceva la differenza. Vittorio era un eroe. E il suo assassinio rientra nel novero delle azioni inqualificabili; un’azione che neppure la più spietata delle organizzazioni terroristiche avrebbe il coraggio di rivendicare con orgoglio e a cui non si può rispondere con indifferenza o con esecrabili refrain del tipo “se l’è cercata” o “è stato ucciso dalle stesse persone che difendeva“.

Ieri, tra le migliaia di articoli, contributi, commenti che sono apparsi sul web, mi sono imbattuta in qualche blog in cui si dichiarava che invece di perder tempo a commemorare un “utile idiota” un “amico dei terroristi perito per mano dei suoi amici”, ci si sarebbe dovuti occupare dei prigionieri israeliani che Hamas si ostina a non voler liberare. In sostanza, si sosteneva che un prigioniero israeliano fosse più importante di un morto filo-palestinese.

Ma non voglio soffermarmi troppo a dar credito a simili bestialità.

Voglio raccontare delle decine di bandiere italiane che, in questo stesso istante, svettano sotto il cielo di Gaza. Delle migliaia di persone che stanno scrivendo il nome di Vittorio sulla loro pelle, perché la sua morte non sia una morte vera, perché insieme al suo corpo non venga sepolta e infangata la lotta di una vita. Vittorio chiedava il cessate il fuoco, voleva che la si smettesse di prendere a calci delle bambine di sei anni perché tentano di proteggere le madri, che si smettesse di uccidere (cinquanta palestinesi hanno perso la vita dall’inizio del 2011, nessun israeliano) e che si cominciasse ad ascoltare la seppur debolissima voce del popolo palestinese. Ascoltare. Nient’altro.

Voglio ricordare Vittorio per quello che davvero è stato e per quel che la sua opera volontaria e disinteressata ha rappresentato per l’intero popolo palestinese, popolo nel quale non mi sento di annoverare la frangia salafita che si è macchiata dell’uccisione di quello che Giulietto Chiesa ha definito “un eroe dei nostri tempi”. Chiunque abbia ucciso Vittorio non è un palestinese. Può avere la nazionalità palestinese, essere nato in Palestina, provenire da un albero genealogico che affonda le sue profondissime ed intricate radici solo ed eslcusivamente in Palestina, ma non è e non sarà mai un palestinese. Perché, ammazzando Vittorio, ha agito contro gli interessi del suo popolo; perpretrando un omicidio barbaro e insensato ha indebolito la resistenza all’occupazione israeliana, piegato le speranza delle migliaia di persone che confidavano nell’aiuto di Vittorio per poter tornare finalmente liberi e -in buona sostanza- fatto un enorme favore a tutte quelle frange estremiste israeliane che da anni ne invocavano la morte.

Giulietto Chiesa, così come moltissimi altri, ci mette sull’allerta, sostenendo che: “Useranno l’inganno per perpetrare le loro violenze. Come in questo caso orribile. Hanno usato la sigla ‘salafita’ perchè si riversasse sul mondo islamico l’esecrazione inevitabile. Ma era un trucco, ovviamente ignobile, per dirottare l’attenzione. Non volevano nessuno scambio di prigionieri. Volevano uccidere Vittorio. Un ragazzo meraviglioso. Coraggioso, pieno di abnegazione, di idee buone. Scriveva ‘restiamo umani’: era la sua sigla. Niente è stato detto di più aderente alla realtà di cui avremmo bisogno, di fronte alla disumanità che lui ci aveva raccontato: la ferocia dell’assalto contro Gaza, la determinazione di uccidere i civili, di sterminare ‘gli scarafaggi’ che osano esistere in un luogo che Israele ha deciso essere suo. Ma Vittorio è stato ucciso perchè resisteva contro un nemico molto più grande“.

Colpendo Vittorio, si è inteso colpire il cuore pulsante della resistenza palestinese. Perché di resistenza si tratta. Resistenza ad attacchi quasi quotidiani ed indiscriminati, che comprendono rastrellamenti di giovanissimi adolescenti, uccisioni di contadini che si ostinano a voler coltivare “la terra sbagliata”, bombardamenti e raid in piena regola che non fingono neppure di volersi tenere a distanza da obiettivi civili.
I palestinesi amavano Vittorio. E non perché li incitava a rispondere con violenza alla violenza, ma perché li aiutava a difendersi, a rivendicare i diritti che, ogni giorno, vengono calpestati nel più assordante dei silenzi da parte della comunità internazionale. Vittorio era un pacifista. Non di quelli che si limitano ad esporre la bandiera arcobaleno sui loro balconi, è chiaro. Ma solo perché la semplice esposizione di una bandiera, in Palestina, non servirebbe a nulla. Non aiuterebbe i bambini a camminare in tutta sicurezza nelle strade delle loro città, né aiuterebbe i contadini e i pescatori a trovare il modo di sopravvivere mentre qualcuno sottrae loro il diritto alla terra e alle acque pescose. Vittorio Arrigoni non era un uomo violento, ma era un uomo d’azione. E se aveva parole dure nei confronti del governo israeliano è solo perché Israele, in questi ultimi anni, si è macchiata di crimini impronunciabili, spesso condannati -in primo luogo- da eminenti esponenti dell’intellighenzia ebraica e da moltissimi ebrei in tutto il mondo.

Vittorio ha più volte fatto scudo con il proprio corpo alla violenza dell’esercito israeliano. Violenza continua, innegabile, disumana, intollerabile. L’attivista dell’International Solidarity Movement altri non era che uno scomodissimo testimone che si ostinava a raccontare al mondo -attraverso Guerrilla Radio, gli articoli sul manifesto e il suo libro- cose che non avrebbero dovuto varcare i confini della prigione a cielo aperto più grande del mondo: la Palestina. Il pacifista italiano non si sarebbe mai e poi mai opposto alla convivenza pacifica tra Israele e Palestina, a patto però che la fine delle ostilità non fosse subordinata alla completa sottomissione dei palestinesi ai dettami israeliani e la cosidetta “pace” non si rivelasse nient’altro che la rinuncia del popolo palestinese a qualunque genere di rivendicazione. Che giustizia sarebbe mai questa? Come potrebbe un vero pacifista accettare che la pace calpesti i diritti di un popolo e passi -solo ed esclusivamente- per la resa incondizionata di una delle due parti alle volontà dell’altra?

Vittorio rivendicava solo il diritto a raccontare l’orrore. Era questa il suo mestiere, la sua missione: fare in modo che la gente sapesse, aprisse gli occhi e non avesse paura di riconoscere il volto di un massacro solo perché, stavolta, a compierlo è un popolo che è stato fatto oggetto di una delle più indicibili barbarie della storia dell’uomo. “Se ho ancora la forza di raccontare della loro fine è perché voglio rendere giustizia a chi non ha più voce, forse, a chi non ha mai avuto orecchie per ascoltare“. Le sue intenzioni sono tutte racchiuse in questa semplice frase. Vittorio voleva essere il megafono del dolore del popolo palestinese, “non per i morti” -diceva- “ma per i feriti a morte di questa orrenda strage“. Voleva dare modo a quanti vivono nello sconforto e nella disperazione di continuare a sperare, perché se il mondo intero sapesse tutto quel che davvero succede a Gaza non potrebbe continuare a far finta di niente. Per quale altra ragione avrebbe scritto sul suo blog quasi ogni giorno, postato decine e decine di video su Youtube che documentano l’efferatezza degli attacchi israeliani; per quale altra ragione avrebbe riportato, attraverso Facebook, ogni singola perdita, ogni singolo ferimento, ogni singola prepotenza senza mai (mai!) gridare alla rappresaglia, ma solo chiedendo che il massacro venisse fermato?

Vittorio amava dire “non temo le urla dei violenti ma il silenzio degli onesti” e allora, in sua memoria, non diamo credito a quanti infangano il buon nome di Arrigoni, a quanti sputano sulla sua tomba o ridono o godono del suo trapasso, a quanti -in queste ore- hanno fatto richiesta che la voce su Wikipedia che lo riguarda sia cancellata. Vogliono seppellirlo ancora, impedire che il mondo sappia cosa davvero pensava, voleva e -a differenza della stragrande maggioranza dei chiacchieroni dell’ultima ora- faceva.Vogliono far credere che fosse un pericoloso criminale antiseminta, e questo solo perché aveva pesanti parole di sdegno (parole, non bombe!) nei confronti non già degli ebrei (quale accusa infamante!) ma degli israeliani che, prepotentemente, avanzano incuranti della morte che portano tra i civili -vecchi, donne e bambini compresi. Pensateci davvero bene: voi non chiamereste “maledetto” qualcuno che occupa la vostra casa, la vostra terra, monopolizza le vostre fonti di sopravvivenza e -se la cosa non vi sta bene- arriva ad uccidere vostro figlio? Vittorio non ha mai ammazzato nessuno. Ha solo invocato una giustizia, sia per le vittime che per i carnefici.

Quando usciva in mare in compagnia dei pescatori -in quella che va sotto il nome di operazione Freedom Flotilla- queste e solo queste erano le sue intenzioni: “Ci sono svariegate ragioni per cui usciamo a pescare coi palestinesi, alcune visibilmente concrete e vitali, altre dai connotati simbolici, ma non meno essenziali. Una giornata al largo con noi, a detta dei pescatori, equivale ad una settimana di ordinario lavoro, quando senza internazionali a bordo non si arrischiano a spingersi più di qualche miglia dal porto, dove il pescabile è miserevole, perchè se lo fanno sono morti, feriti quando va bene”.

Nell’inconsolabile disperazione di coloro che lo hanno amato, nelle lacrime di coloro che lo hanno ammirato, nella rabbia di quanti hanno vissuto insieme a lui o attraverso di lui l’orrore e l’ingiustizia della guerra, cerchiamo la risposta alla domanda: chi è stato davvero Vittorio Arrigoni? E se avremo abbastanza coraggio da voler vedere la verità che ormai nuda si svela davanti ai nostri occhi ricolmi di sospetto, troveremo una risposta unanime.

Il mondo non sarebbe stato trafitto da un dolore così intenso se la morte avesse rapito un uomo ingiusto.

Restiamo onesti, restiamo umani, ma non restiamo in silenzio, non lasciamo che la disinformazione e l’uso pretestuoso della grida di dolore Vittorio finiscano per ucciderlo ancora, e stavolta per sempre.

Fonte: Fanpage Social Media

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