mercoledì 30 marzo 2011

Guerra Libia: scienziato nucleare italiano spiega effetti uso uranio impoverito sulla nazione

Cruise: uno studio scentificio di impatto ambientale e sulla salute. A cura di Massimo Zucchetti, docente di impianti nucleari al Politecnico di Torino


Introduzione

Le questioni che riguardano l’Uranio impoverito e la sua tossicità hanno talvolta, negli anni recenti, esulato dal campo della scienza. Lo scrivente1 si occupa di radioprotezione da circa un ventennio e di uranio impoverito dal 1999. Dopo un’esperienza di pubblicazione di lavori scientifici su riviste, atti di convegni internazionali e conferenze in Italia, sull’Uranio impoverito, questo articolo cerca di fare una stima del possibile impatto ambientale e sulla salute dell’uso di uranio impoverito nella guerra di Libia (2011). Notizie riguardanti il suo utilizzo sono apparse nei mezzi di informazione fin dall’inizio del conflitto.2

Per le sue peculiari caratteristiche fisiche, in particolare la densità che lo rende estremamente penetrante, ma anche il basso costo (il DU costa alla produzione circa 2$ al kg) e la scomodità di trattarlo come rifiuto radioattivo, il DU ha trovato eccellenti modalità di utilizzo in campo militare.

Se adeguatamente trattata, la lega U-Ti costituisce un materiale molto efficace per la costruzione di penetratori ad energia cinetica, dense barre metalliche che possono perforare una corazza quando sono sparate contro di essa ad alta velocità.

Il processo di penetrazione polverizza la maggior parte dell’Uranio che esplode in frammenti incandescenti (combustione violenta a quasi 5000 °C) quando colpisce l’aria dall’altra parte della corazzatura perforata, aumentandone l’effetto distruttivo. Tale proprietà è detta “piroforicità”, per fare un esempio, la caratteristica dello zolfo dei fiammiferi. Quindi, oltre alla elevata densità, anche la piroforicità rende il DU un materiale di grande interesse per queste applicazioni, in particolare come arma incendiaria (API: Armour Piercing Incendiary cioè penetratore di armature incendiario).

Infine, in fase di impatto sull’obiettivo, la relativa durezza del DU (in lega con il Titanio) fornisce al proiettile capacità autoaffilanti: in altre parole, il proiettile non si “appiattisce” contro la corazza che deve sfondare, formando una “testa piatta” – come fa ad esempio un proiettile di Pb – ma mantiene la sua forma affusolata fino alla completa frammentazione, senza quindi perdere le proprietà penetranti.

In battaglia il DU è sicuramente stato impiegato nella Guerra del Golfo del 1991, durante i bombardamenti NATO/ONU sulla Repubblica Serba di Bosnia nel settembre 1995, sulla Jugoslavia nella primavera 1999; in questo secolo, durante l’attacco all’Afghanistan e successivamente ancora in Iraq nel 2003.

L’uso di dispositivi al DU nelle guerre in Somalia ed in Bosnia centrale e centro-orientale (soprattutto ampie aree intorno a Sarajevo) negli anni ‘90, in Palestina ed in poligoni di tiro di competenza delle forze militari NATO, è ancora incompletamente documentato3.

Tra gli armamenti che usano DU, citiamo anche il missile Cruise Tomahawk il cui utilizzo durante la guerra nei Balcani della primavera 1999, pur non ammesso dalla NATO è stato confermato da ritrovamenti in loco e da fonti della Unione Europea4.

D’altra parte, nel decalogo degli ufficiali, consegnato a tutti gli uomini in divisa spediti in Kosovo, vi erano delle raccomandazioni da seguire alla lettera, circa la presenza di Uranio impoverito sul territorio e in particolare nei missili Cruies e Tomahawk. L’introduzione recita così:

«I veicoli ed i materiali dell’esercito serbo in Kosovo possono costituire una minaccia alla salute dei militari e dei civili che ne dovessero venire a contatto. I veicoli e gli equipaggiamenti trovati distrutti, danneggiati o abbandonati devono essere ispezionati e maneggiati solamente da personale qualificato. I pericoli possono derivare dall’Uranio impoverito in conseguenza dei danni dovuti alla campagna di bombardamento NATO relativamente a mezzi colpiti direttamente o indirettamente. Inoltre, i collimatori contengono tritio e le strumentazioni e gli indicatori possono essere trattati con vernice radioattiva, pericolosa per chi dovesse accedere ai mezzi per ispezionarli». Seguono consigli su come evitare l’esposizione all’Uranio impoverito. Testuale: «Evitate ogni mezzo o materiale che sospettate essere stato colpito da munizioni contenenti Uranio impoverito o missili da crociera Tomahawk. Non raccogliere o collezionare munizioni con DU trovate sul terreno. Informate immediatamente il vostro comando circa l’area che ritenete contaminata. Ovunque siate delimitate l’area contaminata con qualsiasi materiale trovato in loco. Se vi trovate in un’area contaminata indossate come minimo la maschera ed i guanti di protezione. Provvedete a un’ottima igiene personale. Lavate frequentemente il corpo e i vestiti».

Le valutazioni sulla quantità di DU utilizzato nei missili Cruise divergono.

In particolare, essi variano, nelle diverse fonti, fra valori intorno ai 3 kg, per andare invece fino a 400 kili circa. In nota si ha una compilazione delle diverse fonti reperibili su questo aspetto, assai importante ai fini della stima dell’impatto ambientale.5

Le prevedibili smentite sulla presenza di Uranio in questi missili si scontrano con la pubblicistica sopra riportata, ed anche su fonti di origine militare6

Questa grossa variabilità nei dati può essere facilmente spiegata. Alcuni Cruise sono con testata appesantita all’uranio impoverito, altri no. Anche quegli altri, tuttavia, hanno uranio impoverito non nella testata del missile, ma nelle ali, come stabilizzatore durante il volo.

Allora possiamo definire due casi

- WORST CASE: Cruise all’Uranio nella testata. Assumiamo 400 kili di DU.

- BEST CASE: Cruise NON all’Uranio nella testata. Assumiamo 3 kili di DU nelle ali.

Calcolo di impatto ambientale e sulla salute

Nell’ampia letteratura dedicata dall’autore al problema Uranio Impoverito 7 era già stato affrontato un calcolo di contaminazione radioattiva da Uranio dovuto ai missili Cruise, in particolare quelli lanciati sulla Bosnia nel 1995. Lo studio è reperibile anche su internet, oltre che sulla rivista scientifica Tribuna Biologica e Medica.8, 9.

Riprendendo i modelli utilizzati nell’articolo citato, si può dedurre quale è la situazione di teatro, sui luoghi di inalazione, con un calcolo inteso solo ad accertare se, in almeno un caso realistico, l’ordine di grandezza delle dosi in gioco non permetta di trascurare il problema.

Consideriamo l’impatto di un missile Cruise Tomahawk che porti 3 kg (best case), oppure 400 kg (worst case) di DU.

L’impatto produce una nuvola di detriti di varie dimensioni, dopo combustione violenta a circa 5000°C. Il pulviscolo è, come detto, composto da particelle di dimensioni nel range [0.5 - 5] micron. Tra 500 e 1000 metri dall’impatto si possono respirare nubi con densità sufficiente a causare dosi rilevanti, composte da particelle che hanno una massa da circa 0.6 a circa 5 nanogrammi (6-50×10-10 g). E’ stata effettuata una stima mediante il codice di calcolo di dose GENII10, trascurando gli effetti dovuti all’incendio e considerando soltanto l’esposizione per una inalazione di un’ora dovuta al semplice rilascio del materiale, non considerando alcuni fattori che potrebbero far ulteriormente crescere l’esposizione. In un’ora si può inalare pulviscolo radioattivo proveniente dalla nube in quantità già notevoli.

Occorre tener conto che i moti fluidodinamici del corpo atmosferico (direzione e velocità del vento, gradiente verticale di temperatura, etc.) possono causare, in angoli solidi relativamente piccoli, concentrazioni dell’inquinante anche parecchi ordini di grandezza superiori a quelli che si avrebbero con un calcolo di dispersione uniforme, che non ha senso in questo scenario. Gruppo critico, in questo caso, sono proprio quelle persone “investite” dalla nube di pulviscolo.

Un missile che colpisce il bersaglio può prendere fuoco e disperdere polveri ossidate nell’ambiente, secondo la stima delle probabilità che verrà in questo lavoro.

Circa il 70% del DU, contenuto nei missili che si suppone vadano sempre a segno, essendo “intelligenti”, brucia. Di questo, circa la metà sono ossidi solubili.

La granulometria delle particelle costituenti la polvere di ossido di DU appartiene totalmente alle poveri respirabili, e vengono anche create polveri ultrafini. In particolare, il diametro delle particelle è in questo caso più fine rispetto alle polveri di uranio di origine industriale, comuni nell’ambito dell’industria nucleare. Si parla delle grande maggioranza delle polveri contenuta nel range [1-10] micron, con una parte rilevante con diametro inferiore al micron.

Per quanto riguarda il destino delle polveri di DU nel corpo umano, la via di assunzione principale è – come noto – l’inalazione. Come detto, parte delle polveri sono solubili e parte insolubili nei fluidi corporei.

Date le caratteristiche degli ossidi di DU di origine militare, occorre rilevare come esse abbiano comportamento differente rispetto alle polveri industriali di uranio. Si può comunque ancora supporre, secondo ICRP11 che circa il 60% dell’inalato venga depositato nel sistema respiratorio, il resto viene riesalato.

Si può assumere che circa il 25% delle particole di diametro intorno a 1 micron vengano ritenute per lungo periodo nei polmoni, mentre il resto si deposita nei tratti aerei superiori, passa nel sistema digerente e da qui viene eliminato per la maggior parte attraverso le vie urinarie, mentre piccole parti passano ad accumularsi nelle ossa .

Del 25% di micro-particelle ritenute nei polmoni, circa la metà si comporta come un materiale di classe M secondo ICRP, ovvero è lentamente solubile nei fluidi corporei, mentre il resto è insolubile.

Questo tipo di comportamento e di esposizione non è stato studiato in nessuna situazione precedente di esposizione ad alfa emettitori nei polmoni, riscontrate in ambito civile. La modalità di esposizione è quindi molto differente da quelle sulla base delle quali si sono ricavate le equivalenze dose-danno in radioprotezione.

Non è pertanto del tutto corretto – sebbene costituisca un punto di riferimento – estrapolare valutazioni di rischio per esposizione a questo tipo di micro-polveri radioattive dai dati ricavati per i minatori di uranio, e neppure ovviamente dagli alto-irraggiati di Hiroshima e Nagasaki. Gli standard di radioprotezione dell’ICRP si basano su queste esperienze, e pertanto possono portare a sottostime del rischio in questo caso.

Passando poi ad altro tipo di tossicità rispetto a quella radiologica, è poi plausibile che:

- vista la componente fine ed ultrafine delle polveri di DU d’origine militare,

- vista la tossicità chimica dell’uranio,

la contaminazione ambientale da ossidi di DU di origine militare abbia tossicità sia chimica che radiologica: deve essere valutato l’effetto sinergico di queste due componenti.

In altre parole, la radioattività e la tossicità chimica dell’uranio impoverito potrebbero agire insieme creando un effetto “cocktail” che aumenta ulteriormente il rischio.

Si mette poi in risalto il fatto che il clima arido della Libia favorisce la dispersione nell’aria delle particelle di uranio impoverito, che possono venire respirate dai civili per anni. Il meccanismo principale di esposizione a medio-lungo termine riguarda la risospensione di polveri e la conseguente inalazione.

La metodologia e le assunzioni relative a questo modello sono già state pubblicate in altri lavori dell’autore12 ai quali si rimanda. Vengono messe in evidenza qui soltanto le rifiniture e variazioni rispetto al modello applicato e già pubblicato, ed in particolare:

- Il calcolo di impegno di dose è a 70 anni e non più a 50 anni, secondo quanto raccomandato da ICRP.

Si sono utilizzati dati per ora approssimati sulla distribuzione della popolazione intorno ai punti di impatto, che tengono anche conto dell’utilizzo principale dei proiettili al DU in aree popolate.

I risultati del modello possono essere così riassunti:

- CEDE (Dose collettiva): 370 mSvp in 70 y, per 1 kg di DU ossidato e disperso nell’ambiente.

- CEDE annuale massima nel primo anno (76 mSvp), cui segue il secondo anno (47 mSvp) e il terzo (33 mSvp).

La via di esposizione è tutta da inalazione di polveri. L’organo bersaglio sono i polmoni (97.5% del contributo alla CEDE).

Fra i nuclidi responsabili, 83% della CEDE è da U238, ed il 14% da U234

Per quanto riguarda la quantità totale di DU ossidato disperso nell’ambiente, si parte per questa valutazione dai dati riportati dalla stampa internazionale: nel primo giorno di guerra, circa 112 missili Cruise hanno impattato sul suolo libico13. Quanti missili verranno sparati prima della fine della guerra? Non è dato saperlo, faremo un’assunzione di circa 1000 missili sparati, e in ogni caso i valori che verranno stimati saranno variabili con una semplice proporzione.

Se tutti i missili fossero “privi” di DU, si avrebbe comunque una quantità di:

1000 * 3 = 3000 kili = 3 Tonnellate di DU (best case)

Se tutti i missili fossero con testate al DU avremmo una quantità fino a 400.000 kili = 400 tonnellate di DU.

Si confronti questo dato con le 10-15 Tonnellate di DU sparate nel Kossovo nel 1999 per valutarne la gravità.

Si supponga che circa il 70% dell’uranio bruci e venga disperso nell’ambiente, arrivando così ad una stima della quantità di ossidi di DU dispersa pari a circa 2,1 tonnellate (best case) e 280 tonnellate (worst case).

Questo permette di stimare pertanto una CEDE (dose collettiva) per tutta la popolazione pari a:

- Best case: 370 mSvp/kg * 2100 kg = 780 Svp circa.

- Worst case: 370 mSvp/kg * 280.000 kg = 104000 Svp circa

Ribadiamo come non sia del tutto corretto – sebbene costituisca un punto di riferimento – estrapolare valutazioni di rischio per esposizione a questo tipo di micro-polveri radioattive dagli standard di radioprotezione dell’ICRP, che sono quelli adottati dal codice GEN II.

Se tuttavia applichiamo anche qui il coefficiente del 6% Sv-1 per il rischio di insorgenza di tumori, otteniamo circa

- Best case: circa 50 casi di tumore in più, previsti in 70 anni.

- Worst case: circa 6200 casi di tumore in più, previsti in 70 anni.

Conclusioni

I rischi da esposizione ad uranio impoverito della popolazione della Libia in seguito all’uso di questo materiale nella guerra del 2011 sono stati valutati con un approccio il più possibile ampio, cercando di tenere in conto alcuni recenti risultati di studi nel settore.

Questo tipo di esposizione non è stato studiato in nessuna situazione precedente di esposizione ad alfa emettitori nei polmoni, riscontrate in ambito civile.

Tuttavia, la valutazione fatta delle dosi e del rischio conseguente alle due situazioni (Cruise “senza uranio” o “con uranio”) permette di trarre alcuni conclusioni.

Nel primo caso (best case), il numero di tumori attesi è molto esiguo d assolutamente non rilevante dal punto di vista statistico. Questa difficoltà statistica – come è appena ovvio rimarcare – nulla ha a che vedere con una assoluzione di questa pratica, una sua accettazione, o meno che mai con una asserzione di scarsa rilevanza o addirittura di innocuità

Nel secondo caso (worst case), invece, siamo di fronte ad un numero di insorgente tumorali pari ad alcune migliaia. Queste potrebbero tranquillamente essere rilevabili a livello epidemiologico e destano, indubbiamente, forte preoccupazione.

Occorre, percio, che gli eserciti che bombardano la Libia chiariscano con prove certe, e non asserzioni di comodo, la presenza o meno, e in che quantità, di uranio nei loro missili.

In passato, ci sono state smentite “ufficiali” della presenza di uranio nei missili Cruise14, ma proveniendo esse da ambienti militari, l’autore si permette di considerarle, come minimo, con una certa cautela.

Sulla base dei dati a nostra disposizione, le stime sull’andamento dei casi di tumore nei prossimi anni in Libia a causa di questa pratica totalmente ingiustificata sono assolutamente preoccupanti. La discussione sull’incidenza relativa di ognuno degli agenti teratogeni utilizzati in una guerra (Chimici, radioattivi, etc.) ci pare – ad un certo livello – poco significativa ed anche, sia consentita come riflessione conclusiva, poco rispettosa di un dato di fatto: i morti in Libia a cuasa di questo attacco superano e supereranno di gran lunga qualunque cifra che possa venire definita “un giusto prezzo da pagare”.
E’ importante infine raccogliere dati e ricerche – e ve ne sono moltissimi – nel campo degli effetti delle “nuove guerre” su uomo e ambiente; bisogna mostrare come le armi moderne, per nulla chirurgiche, producano dei danni inaccettabili; occorre studiare cosa hanno causato, a uomini e ambiente che le hanno subite, le guerre “umanitarie” a partire dal 1991.

Fonte: http://www.9online.it/

-http://www.ipharra.org/article-libia-scienziato-nucleare-italiano-spiega-effetti-uso-uranio-impoverito-sulla-nazione-70445618.html

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