giovedì 24 febbraio 2011

Libia, Bengasi: Le donne libiche in piazza contro il regime di Gheddafi protagoniste del cambiamento. Idriss al Charif guida la rivolta.

Idriss al Charif, professore di Economia é il leader di questa rivolta inaspettata e dirompente contro il regime dittatoriale e autoritario di Gheddafi. Prima o poi la Storia annovererà centinaia di uomini e donne che hanno compiuto gesti eroici, al limite del martirio.

Fotonotizia: Bengasi: Le donne libiche scendono in piazza per la Libertà del popolo. Ancora una volta  le "DONNE RESISTENTI" diventano le protagoniste del cambiamento, del reiscatto e della LIBERTA' di un popolo...

"Gheddafi, addio per sempre"

Bengasi festeggia la liberazione

Nelle strade della capitale degli insorti la gioia tra le macerie. I poliziotti sono fuggiti tutti. Il servizio d'ordine è in mano ai ragazzi, tutti giovanissimi

(dal nostro inviato PIETRO DEL RE. FONTE: Repubblica)

BENGASI - Dal penitenziario assaltato venerdì scorso, alla sontuosa caserma dei pretoriani del Colonnello bruciata due giorni fa, i luoghi della rivolta sono già diventati tappe di pellegrinaggio. Nella Bengasi post Gheddafi non c'è più un solo poliziotto. Sono fuggiti tutti o passati dalla parte dei vincitori. A ogni angolo di strada, i ragazzini offrono il loro contributo alla rivoluzione, dirigendo il traffico con piglio marziale e distribuendo ai passanti le stellette strappate da divise dismesse in fretta e furia. Ma il primo sacrario cittadino è la piazza dove, domenica, sotto il piombo dell'esercito sono cadute 300 persone. Da allora è presieduta giorno e notte da folti drappelli di giovani che, facendo sgommare i loro potenti pick-up, inneggiano a un futuro di libertà. Quella che era l'aiuola centrale è oggi arata da diverse buche dai bordi bruciacchiati e profonde un metro e mezzo circa. Sono le buche scavate dalle granate lanciate dall'esercito contro gli oppositori al regime.
Il nostro Virgilio, in quello che fino a pochi giorni fa fu l'inferno della Libia, è Idriss al Charif, professore di Economia e leader di questa rivolta inaspettata e dirompente, in cui prima o poi la Storia annovererà centinaia di uomini e donne che hanno compiuto gesti eroici, al limite del martirio. L'altro ieri, i nuovi padroni di Bengasi l'hanno precettato per rifondare la televisione e la radio locali. Di fronte al suo nuovo ufficio, nereggia una delle caserme della polizia appena  data alle fiamme dagli insorti. All'interno del commissariato, tra i detriti del saccheggio, alcune travi ancora esalano fumo. Penetriamo in una stanzetta senza finestre, con al centro una sedia da dentista. "Vede, qui sedeva il poveretto di turno, al quale gli sgherri di Gheddafi volevano far confessare qualcosa", spiega il professore, prima di chinarsi a raccogliere da terra un oggetto metallico. "Ecco, quando capitava che un oppositore si rifiutasse di parlare, questi tronchesi servivano a tagliargli le dita, il naso, le orecchie o i genitali. Qui e in altri posti come questo abbiamo trovato un intero arsenale di tortura da Inquisizione medioevale". Il professore accetta di condurci all'ospedale dove nell'ultima settimana, solo nel reparto di ortopedia, sono state realizzate più di 200 operazioni per riparare ossa spezzate da pallottole o schegge di granata. "L'anestetico è finito molto in fretta, perciò i chirurghi hanno dovuto spesso fare senza", dice Idriss. Ogni camerata è affollata di uomini, ma anche di bambini, rimasti feriti negli scontri, che hanno arti in trazione o teste bendate. Appena riconoscono il professore, anche i più sofferenti cercano di rialzare il busto per salutarlo, disegnando con le dita la churchilliana "V" di vittoria. Un uomo anziano, con la barba incolta e uno zucchetto rosso in testa, gli rivolge una domanda: "Ha visto che cosa ha combinato stavolta il Capo?". "Stai tranquillo", gli risponde il risponde il professore. "A Bengasi, il Capo come lo chiami tu, non lo vedremo più". Un ragazzo sui trent'anni con entrambe le gambe ingessate racconta che a sparargli a bruciapelo è stato un mercenario del Colonnello, uno di quelli, come raccontano i libici, ai quali è stata promessa una lauta ricompensa per l'uccisione di ogni manifestante. Sono le quattro del pomeriggio e la città comincia a riempirsi di macchine strombazzanti, di uomini armati e sorridenti, di famigliole vestite a festa. Sui carri armati abbandonati in mezzo alle strade c'è chi si fa fotografare per immortalare la gioia del trionfo. Il servizio d'ordine è in mano ai ragazzi. Sono anche loro giovanissimi, come quelli che abbiamo incrociato ai numerosissimi posti di blocco lungo la strada che collega Bengasi al confine orientale del Paese. Forse qualcuno la chiamerà la "rivoluzione dei teenager". Da alcune macchine c'è chi manifesta il suo tripudio sparando in aria colpi di kalasknikov. Nel traffico convulso che va creandosi c'è anche chi sosta tra le auto incolonnate con un cartello in mano, una vignetta satirica, un pupazzo del Colonnello con un laccio al collo. Si percepisce un'euforia da folla sportiva. "La gente si rende finalmente conto di aver vinto, di essersi liberata per sempre di quel macellaio di Gheddafi, che per più di quarant'anni ci ha terrorizzati". Sfila anche un corteo composto unicamente da donne, sia pure circondato da un cordone di guardie del corpo che sono mariti, figli e fidanzati. Le pasionarie di Bengasi saranno 300 e anche loro chiedono la testa del Colonnello. Deve trattarsi di una prima, poiché ai lati del corteo tutti le filmano con il cellulare, non senza nascondere qualche colpevole sghignazzo. E adesso, domandiamo al professore, che cosa accadrà? Chi gestirà il vuoto di potere lasciato dalla decapitazione dei vertici del regime? "Ma quale vuoto di potere? Abbiamo già creato un consiglio di saggi, o un direttorio se preferisce, per occuparsi dell'amministrazione della città, dei trasporti, dell'elettricità, della fornitura del petrolio e cosi via. È composto da magistrati, medici, politici, professori universitari, ma anche da quei militari che hanno rifiutato di sparare sui manifestanti". Rientrati nel suo ufficio, sulla scrivania del professore vediamo un computer acceso e gli chiediamo se almeno lui riesce a connettersi con Internet. "No, ed è stato questo l'ultimo regalo che ci ha fatto il Colonnello: quello di interrompere la rete in tutto il Paese. Vuole sapere l'ultimo messaggio che abbiamo ricevuto sulla nostra posta elettronica prima del blackout? Una patetica letterina di Gheddafi con cui ci informava che regalava a ogni cittadino libico una banconota da 10 dinari. Ma che cosa sperava di comprare con quei pochi soldi? È vero, la libertà non ha prezzo, così come non ce l'ha la fine di un incubo. Lo sa che cosa abbiamo temuto di più noi libici per decenni? Di morire impiccati. Magari una bella mattina di Ramadan. Come spesso accadeva qui".  È già buio quando torniamo in quella che, come dice Idriss, sarà presta ribattezzata Piazza dei Martiri o Piazza della Liberazione. Attorno a ogni buca è seduta, in silenzio, una ventina di persone. Sulla vicina carreggiata, invece, gli stessi ragazzi di prima continuano a intonare canzoni, slogan, preghiere. Fino all'esaurimento delle forze, della voce. "Andranno avanti cosi per tutta la notte", dice il professore. "Del resto, è la prima volta in vita loro che possono gioire senza paura di finire in galera o appesi a una corda".  (24 febbraio 2011)

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