Gaza City, 20 dicembre 2009.La devastazione che accoglie i rarissimi esseri umani che riescono a varcare ilconfine di Gaza, è totale, dalle macerie che ho sotto i piedi fin dove puòarrivare lo sguardo all'orizzonte. Esattamente un anno fa su questa strettastriscia di terra, anzi, sopra questa enorme prigione a cielo aperto, è statarovesciata una tale quantità di violenza e di morte, dal cielo e da terra, cheancor oggi i rapporti internazionali faticano a fornire i dati definitivi dellacosiddetta “operazione” Piombo Fuso: ci si avvicina facilmente ai più di 1400morti, tra cui certamente più di 400 sono stati bambini, essendo Gaza abitataper il 50% da minori… “Ma il numero dei feriti –mi dice sillabando lentamentequeste pesantissime parole Suor Nabila- è incalcolabile oltre i 5000 monitoratida ospedali e centri sanitari. Mi basta vedere i miei piccoli della scuola: il65% è letteralmente devastato psicologicamente. E ogni giorno i genitori chevengono a scuola aggiornano la lista di parenti “bruciati dentro” dal fosforobianco o “fatti a pezzi” dalle micidiali cd-bomb. Fa impressione solo parlarne,lo so, ma noi suore fatichiamo a parlare di cose belle ai bambini mentre lorohanno negli occhi solo la guerra. Tu non riesci a far immaginare la pace ad unoche non l’ha mai vista…”.Suor Nabila, una delle coraggiosissime Suore del Rosario che hanno resistito ad annidi embargo e al massacro del natale scorso, è uno dei mille volti che hannocercato disperatamente di comunicarmi, anche solo per un istante, i sentimentipiù contrastanti della gente di Gaza in questa festa anticipata di Natale. Lapiccola delegazione del Patriarca di Gerusalemme ha avuto solo stamattina laconferma della possibilità di entrare nella Striscia maledetta (che è peròanche Terra santa!) e le auto diplomatiche hanno percorso i primi chilometritra distruzione di edifici e campi ancora “arati” dai cingolati dei tank chehanno distrutto le coltivazioni e le piante.Arriviamo nell’enorme città di Gaza City che ci dicono conti quasi un milione diabitanti, ma noi fatichiamo a immaginarceli tutti vivi in questo deserto dirovine. E se attorno a noi è deserto, come un’oasi si spalanca davanti a noiimprovvisamente la parrocchia della Sacra Famiglia, la chiesa bianca piena diaddobbi e luci e fiori avvolta da quelle che da noi chiamiamo le “opereparrocchiali” ma che qui sono baluardi di sopravvivenza e spazi inimmaginabilidi resistenza. Fuori il disastro e dentro la festa, qui la gioia dei canti e lìla frustrazione di una città di rovine, attorno a noi il calore di un Natale difede e oltre il cancello la fredda passerella delle ferite più assurde, suicorpi della gente come negli edifici. Parla di questo deserto anche il Patriarca di Gerusalemme Fouad Twal: “Che gioia cidate, fratelli: in questo deserto di dolore che è Gaza, oggi ci regalate lavostra presenza attraverso la comunione e la preghiera”. E il vescovo si starivolgendo non tanto ai tredici della delegazione ma alle cento città italianeche oggi, 20 dicembre, hanno accolto l’invito a...venire a fare Natale a Gaza.L’iniziativa, infatti, “Christmas in Gaza” è stato un ponte straordinario dicomunione con i cristiani che -in quanto palestinesi e non in quantocristiani!- soffrono enormemente per le conseguenze dell’aggressionedell’esercito israeliano, prima con anni di embargo e poi con un massacro dalleproporzioni inimmaginate. L’idea e’ stata del vecchio parroco della Striscia,abuna Manuel Musallam, che in una struggente invocazione suggerita da PaxChristi alle comunità cristiane per questa domenica, scrive: “Signore nostroDio, a Natale, un anno fa, un disastro si è abbattuto su di noi come unatempesta. Sotto i bombardamenti eravamo affamati e assetati. I nostri bambini piangevano.Non trovavamo pane per loro né acqua per placare la loro sete. Le finestre e leporte delle nostre case sono state distrutte dalle detonazioni delle bombe enoi deperivamo nel freddo di dicembre e dell’inverno che avanzava. I nostricorpi raggelati dalla paura, dalla sete e dalla fame, non potevano consolare ipiccoli che si rannicchiavano su di noi”. E durante l’omelia, in una chiesatanto piccola quanto piena di dignità e semplicità, anche il Patriarca Twal haricordato: “Un anno dopo il massacro nulla è cambiato, tutto sembra piùpesante: la fame e il bisogno vitale di tutto sono più forti, l’assedio allaStriscia è più duro, e noi siamo stanchi”. Nessuna ricostruzione, nessunaripresa economica per i sopravvissuti. Nessun sollievo duraturo per le migliaiadi feriti dilaniati dalle bombe al fosforo bianco, o dalle micidialibombe-freccia, di cui immagino nessun organo di informazione nostrano vi hainformato. E quanti sono questi feriti! Li vedo ovunque. Perchè-vorrei anche a vostro nome rivolgermi al vecchio prete inascoltato padreManuel- perche’ caro abuna, forse non siamo stati abbastanza attenti, forse lenostre orecchie non hanno prestato sufficiente attenzione al vostro grido, aquesta vostra sofferenza che so bene non essere iniziata il 27 dicembre dello scorsoanno, ma ben due anni prima? Gli anni dell'embargo, il tempodell'isolamento totale che ancora oggi perdura e soffoca queste famiglie,queste persone, questi bimbi pur ridenti che si affollano attorno all'altare echiedono al Dio-con-noi di non abbandonarli, Lui che ama le sue creature tuttequante. Non come noi in Europa, che dell'embargo siamo corresponsabili. Chesull'embargo non abbiamo alzato la voce come cittadini. Guardo gli occhidella tua gente, delle persone che tu hai aiutato e consolato in quei giorni dimorte e ti posso assicurare, abuna, che vi ho trovato la speranza, quella chetu mi dicevi essere l''ottavo sacramento” per i cristiani di Gaza. Gliela haitrasmessa tu, questa voglia di andare avanti, forse quando inviavi loro sms coni versetti del Vangelo, mentre eravate sotto le bombe e vi potevate incontraresolo così, in preghiera telematica. E allora mi unisco a te, rivolgendomi conte al Dio della pace, in questo giorno di Natale a Gaza che per noi è ancoraattesa del tuo figlio: “Signore Gesù, quando sei passato da Gaza, fuggendo laminaccia di Erode, noi ti abbiamo protetto. Ti abbiamo nutrito. Abbiamoriscaldato il tuo corpo indebolito. Ti supplichiamo: ritorna ancora a Gaza! Nondimenticare il tuo popolo di più di tremila cristiani e un milione e mezzo dimusulmani. Signore della Pace, dona la pace alla nostra terra. Siamo assetatidi giustizia: Vieni Signore Gesù”.Le auto blu sono ormai al valico di Erez. Le tre suorine del Rosario ci salutanotrattenendo le lacrime mentre veniamo ingoiati dal lungo tunnel del confine.Davvero non c'è dubbio su chi sta entrando e chi sta uscendo… colpi di mortaiofanno da sottofondo alla delegazione del Patriarca di Gerusalemme, che dalfinestrino alza gli occhi al cielo e benedice lentamente un milione di figli diDio che rimarranno sigillati come animali nella prigione più grande del mondo. BuonNatale, Gaza. (Testimonianza di don Nandino Capovilla - Movimento Internazionale per la Pace - Pax Christi)
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