Uomini o cavie?
I dubbi sulle sperimentazioni farmaceutiche in Africa
Testo di Laura Mezzanotte - Foto Olycom
Testo di Laura Mezzanotte - Foto Olycom
Nel continente africano le multinazionali dei farmaci possono contare su un numero illimitato di malati da sottoporre ai test clinici. Inoltre la mancanza di rigidi controlli governativi fa risparmiare alle aziende tempo e denaro. Ma finita la sperimentazione, le medicine spariscono insieme ai ricercatori
La definizione più recente, e probabilmente più esatta, viene dalla conferenza internazionale sui medicinali anti-microbi che si è tenuta a Johannesburg a fine aprile: "imperialismo etico". Ed è da lì che si deve partire per fare chiarezza su una delle questioni più ambigue, a volte più sporche e sicuramente più intrise di leggende metropolitane che girano per l'Africa: i farmaci e la loro sperimentazione.
Il recente film "The constant gardener" - tratto dal bel romanzo di John Le Carrè - ha acceso i riflettori della pubblica opinione sulla questione sperimentazioni. Ma rischia di provocare ulteriore confusione. Presentato come la versione romanzata di una storia vera, ha creato nel grande pubblico l'idea che l'Africa (e i Paesi poveri in genere) siano invasi da dottori cattivissimi che sperimentano selvaggiamente nuovi farmaci a tutti i costi.
Un'idea troppo semplificata e che quasi mai trova - almeno nelle forme presentate dal film - corrispondenza nella realtà. E di conseguenza rende possibile dire che non è vero. Che quel fenomeno non esiste. Ma nemmeno questo è vero.
Una brutta storia
La vicenda a cui si ispira il film è avvenuta nel 1996 in Nigeria. Nella città di Kano, nord del Paese, era scoppiata un'epidemia di meningite. Nel momento peggiore si registravano fino a 120 nuovi casi al giorno. Moltissimi erano bambini.
Un'equipe di Medici senza frontiere (Msf) era arrivata per aiutare l'ospedale locale a far fronte alla situazione. Ai bambini veniva dato un antibiotico raccomandato dall'organizzazione mondiale della sanità per questi casi. Ma, ad un certo punto, un veloce jet privato aveva scaricato a Kano un'equipe superattrezzata.
Erano i medici della Pfizer, grande casa farmaceutica americana, che, saputo quasi per caso dell'epidemia, si erano precipitati con un nuovo prodotto, il Trovan. I medici della Pfizer sapevano di averlo provato, fino a quel momento, su un solo bambino. Il dottor Juan Walterspiel, esperto di malattie infantili della Pfizer, peraltro, era fortemente contrario agli esperimenti sui bambini a Kano e lo aveva anche scritto in una lettera alla società. Che lo licenziò.
I medici si installarono nell'ospedale di Kano,indistinguibili - per la gente - da quelli di Msf. Scelsero 200 bambini. Secondo la Pfizer chiesero ad un'infermiera di spiegare, nella lingua locale, che si trattava di una sperimentazione. E, poiché si trattava di persone analfabete - dicono - il consenso venne dato oralmente. Un genitore affermò poi di aver creduto che i medici fossero di Msf e di aver scoperto solo successivamente, controllando la documentazione, che si trattava di un test.
La lettera di approvazione della sperimentazione del comitato etico dell'ospedale sarebbe stata scritta solo un anno dopo i fatti. Dettagli. Per l'esperimento era necessario il gruppo di controllo. A cui veniva dato l'antibiotico classico. Ma, affermano i genitori di trenta bambini che hanno fatto causa alla Pfizer, a questi fu dato un dosaggio più basso.
Per dimostrare che il Trovan era più efficace. Ci sono stati undici morti in quell'esperimento. Sei curati col Trovan e cinque del gruppo di controllo. La Pfizer dichiara che il tasso di mortalità in quella situazione è stato più basso della media normale. Potrebbe perfino essere vero. Ci furono in totale 15mila morti nell'epidemia di Kano. Ultimo dettaglio: il Trovan fu approvato nel 1997 dalla Food and Drug Administration, massima autorità americana in materia di controllo dei farmaci. Ma il suo uso venne poi fortemente ristretto nel 1999, dopo che una serie di morti per complicanze epatiche furono fatte risalire al Trovan.
L’informazione negata
Perchè le case farmaceutiche preferiscono l'Africa (o il terzo mondo in generale) per i loro esperimenti? La risposta è a più facce. Ad esempio, nel caso di Kano, c'era anche una ragione statistica che spingeva la Pfizer a correre là: in Occidente non si verificano più epidemie di meningite e quindi trovare sufficiente "materiale umano" su cui fare i test è difficile. La meningite non è l'unico caso, in questo senso.
Torniamo alla conferenza di Johannesburg. Lì la dottoressa Ames Dhai, capo del dipartimento di bioetica dell'università più prestigiosa di Johannesburg, la Witwatersrand, ha dichiarato che gli esperimenti di farmaci sono aumentati di 16 volte negli ultimi anni nei Paesi a basso reddito. Ed ha aggiunto che è in corso una guerra tra gruppi di ricerca per aggiudicarsi i gruppi di pazienti, così da poter dire agli sponsor: "posso mettere in fila 500 pazienti domani". E le procedure, il rigore dei controlli richiesto in Occidente per le sperimentazioni richiede tempi che è un eufemismo definire lunghi.
Non così in Africa. Dove non tutti gli stati, secondo l'Istituto sudafricano di relazioni internazionali, hanno sufficiente sensibilità politica e sufficienti mezzi per impostare ed applicare le procedure. In parole povere il clima è più rilassato. Qui si innesta il concetto di imperialismo etico. Si discute da tempo, nella comunità medica, di cosa voglia dire "consenso informato". Che cosa è necessario spiegare ad un pastore Fulani della Nigeria centrale (facciamo un esempio a caso) perchè possa dare il suo consenso informato alla sperimentazione di un nuovo medicinale?
Di quale conoscenza scientifica di base è dotato, per capire effetti e controindicazioni, quando spesso in Africa la gente va ai consultori medici chiedendo l'iniezione perchè è nell'uso dello strumento, nell'ago e nella siringa, che identifica la cura e non nel contenuto della stessa? Quanta resistenza può trovare un gruppo di ricerca diciamo "molto ambizioso" da parte di comunità che non hanno mai visto, ad esempio, un apparecchio a raggi X? Gli stessi medici locali, quale potere hanno di opporsi a gente che arriva con mezzi tecnici extragalattici se comparati alla loro esperienza quotidiana?
Test spericolati
Infine c'è la forza dei fatti. Gianfranco di Maio, responsabile medico di Msf Italia, cita un esempio molto chiaro. «Negli ultimi anni abbiamo scoperto che esiste un farmaco antiretrovirale che funziona in molti casi come prevenzione per l'Aids. E' capitato a medici che operando pazienti ammalati si sono feriti e hanno toccato il sangue. L'uso di quel farmaco nelle ore immediatamente successive al contatto ha impedito, nell'80 per cento dei casi, il contagio. Una sorta di pillola del giorno dopo contro l'Aids».
La casa produttrice del farmaco, l'americana Gilead, ha deciso di provare a farlo funzionare con lo stesso metodo degli antimalarici: finché lo prendi non ti ammali. Ed ha avviato sperimentazioni in quattro diverse situazioni: nella comunità omosessuale di San Francisco, in Cambogia e Camerun su gruppi di prostitute, su pazienti eterosessuali in Nigeria.
In questi casi quale pensate sia l'interesse primario dei ricercatori? Premere perchè le prostitute cambogiane prendano tutte le precauzioni possibili, invalidando così di fatto la ricerca? E ancora: fino a che punto i ricercatori si spendono per far capire esattamente alle persone i rischi della sperimentazione, pur se non direttamente collegati al farmaco? Inoltre la casa farmaceutica rifiuta di garantire ai soggetti che sperimentano il farmaco una copertura assicurativa a lungo termine (30 anni) in caso qualcuno di loro si ammali durante la sperimentazione.
Secondo la Gilead questa garanzia costituirebbe un indebito incentivo e un inquinamento del loro consenso. Ma, aggiunge, il Paese guadagnerebbe perchè la società farmaceutica lascia in "dono" laboratori, equipaggiamento e persone addestrate. Certo, se le condizioni imposte non sono troppo "rigide". In Camerun i ricercatori hanno chiesto espressamente alle cavie-umane di avere rapporti sessuali senza preservativo. E su un totale di 400, la metà riceve soltanto un cosiddetto placebo. Perchè i test, per essere accettati internazionalmente, devono avvenire col metodo del “doppio cieco”. La Cambogia ha sospeso i test in agosto 2004. Il Camerun a febbraio 2005. Le sperimentazioni sono riprese l’estate scorsa in Botswana, Ghana e Malawi. Naturalmente, quando il farmaco sarà pronto, il suo prezzo sarà inarrivabile per gli ammalati africani. E questa è l’unica vera certezza
Fonte: Missionari d'Africa
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