Appello per la Undicesima Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico del 27 ottobre 2012
"Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello Stato"
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"Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello Stato"
di I promotori della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
Comunicato stampa n. 1
"Islam, cristianesimo, Costituzione: cristiani e musulmani a confronto con la laicità dello Stato".
E’ questo il tema che quest’anno proponiamo
all’attenzione delle comunità cristiane e musulmane per l’undicesima
edizione della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico.
I motivi che ci spingono a proporre tale tema sono:
1La nostra Carta
Costituzionale, a 65 anni dalla sua promulgazione, è ancora largamente
inattuata ed anzi continuamente calpestata nei suoi principi
fondamentali e necessita, quindi, di una sua robusta difesa che si può
attuare con la sua conoscenza e con lo stimolare iniziative concrete dal
basso per la sua attuazione.
2L'Islam in Italia, come è
sottolineato in numerosi studi sull’argomento, fa ancora fatica a
diventare un “islam italiano”, è ancora un fenomeno legato molto
strettamente all'immigrazione, pur essendoci già le seconde e forse
anche terze generazioni degli immigrati musulmani arrivati in Italia 40
anni fa, che però sono ancora legati alle loro terre d'origine di cui
vivono intensamente come proprie le vicissitudini attuali.
3C'è, infine, sia tutta la
questione della costruzione delle moschee, che sono di fatto bloccate in
tutta Italia (vedi ad esempio la vicenda di Genova) , sia la questione
dell'intesa, che è del tutto in alto mare e non solo per i musulmani.
Invitiamo così anche quest’anno a celebrare, il prossimo
27 ottobre 2012, la Undicesima Giornata ecumenica del dialogo
cristiano-islamico, nella convinzione che sono “Beati quelli che si adoperano per la pace” (Mat 5:9) , perché Dio (Allah) “chiama alla dimora della pace” (Sura 10, 25) perché Lui è “La Pace” (Sura LIX, 23 ), perché il dialogo è lo sforzo sulla via di Dio che ci compete e ci onora.
Con un fraterno augurio di
Shalom, salaam, pace
I promotori della giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico
Roma li, 28/06/2012
Per l'elenco dei promotori, per le adesioni e le iniziative vedi la pagina:
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Cari amici e amiche, fratelli e sorelle,
il 27 ottobre 2012 celebreremo per l’undicesima volta la
Giornata ecumenica del dialogo cristianoislamico. Lo faremo con gioia, e
lo faremo in tanti, non solo cristiani e musulmani! Anche se, bisogna
ammetterlo, è difficile, e anche faticoso, parlare di dialogo oggi.
Eppure occorre farlo; ma verrebbe voglia di discutere d’altro,
perché – ancora una volta – l’impressione generale al riguardo è di una
stanchezza infinita, e di un ben scarso investimento da parte delle
chiese e degli altri soggetti potenzialmente coinvolti. Si tratta di
sensazioni consolidate, del resto, da tempo, e assai note non solo agli
addetti ai lavori, ma anche a quanti, più o meno occasionalmente, se ne
sono occupati negli ultimi anni. Eppure, questa undicesima giornata, che
ci invita a prendere sul serio la laicità dello stato come base
indispensabile per giungere alla casa comune delle fedi di cui il
nostro paese mostra un disperato bisogno, rappresenta un’occasione da
non sprecare per riflettere tanto sullo stato dei processi di dialogo
interreligioso, da una parte; quanto sulle motivazioni dell’odierna
situazione di stallo, dall’altra. Personalmente, nonostante tutto,
sull’esperienza del dialogo – praticato, tentato, deluso, rilanciato –
ho investito nel corso di parecchi anni, insieme a molti amici e amiche,
una buona quantità di tempo, viaggiando per l’Italia e raccogliendo
tanto disagio e altrettante speranze. Alla luce di questa esperienza,
credo di poter dire che due sono, in particolare, le ragioni della crisi
sopra richiamata: esse toccano nel profondo il cammino delle chiese e
delle altre comunità religiose che affollano le nostre città
nell’attuale fase di passaggio dalla religione dell’Italia all’Italia
delle religioni.
In primo luogo, mi rifaccio a una considerazione
preziosa del cardinal Martini, appena scomparso, che non posso non
ricordare come un autentico, straordinario uomo di dialogo. Che, in
effetti, questo primariamente è stato, non dedicandosi peraltro a uno
specifico settore, in quanto consapevole che porsi in dialogo è uno
stile complessivo di chiesa e di vita, non un ambito particolare su cui
investire. Riflettendo sul rapporto fra chiesa e Israele a Vallombrosa
durante un Colloquio internazionale, oltre un quarto di secolo fa,
Martini sosteneva che tale processo è destinato a cambiarci, noi e le
nostre comunità. Fino ad affermare esplicitamente che il dialogo
cristiano-ebraico “si è fatto più preciso e decisivo per il futuro
stesso della chiesa. La posta in gioco non è semplicemente la maggiore o
minore continuazione vitale di un dialogo, bensì l'acquisizione della
coscienza, nei cristiani, dei loro legami con il gregge di Abramo e le
conseguenze che ne deriveranno sul piano dottrinale, per la disciplina,
la liturgia, la vita spirituale della chiesa e addirittura per la sua
missione nel mondo d’oggi”. La considerazione, ovviamente, si può
allargare agli altri ambiti del dialogo, pur conservando una
specificità, in chiave cristiana, per quello con l’Israele vivente.
Ecco: se il dialogo, in questi giorni cattivi (Ef 5,16), è in
crisi, lo è in primo luogo perché quanti vi si sono spesi nel mezzo
secolo che ci separa dai vagiti iniziali del Concilio Vaticano II –
timorosi, speranzosi o dichiaratamente prevenuti – hanno dovuto prendere
atto che esso non si lascia marginalizzare. Se assunto realmente come caso serio,
mette in discussione radicalmente opinioni e stili di chiesa
consolidati, punti di vista ritenuti definitivi, atteggiamenti mentali
depositari. In una parola, ebraicamente, spinge inevitabilmente a una teshuvà; oppure, alla maniera del Nuovo Testamento, alla metànoia. Non accetta mezze misure, doppiopesismi, dilazioni. Come il giovane ricco in fuga di fronte a Gesù, rabbuiato perché aveva molti beni
(Mc 10,17-22), di fronte al dialogo si può solo prendere o lasciare. E
se il quieto vivere spingerebbe a lasciare, l’adesione al vangelo
costringe a prendere.
In secondo luogo, l’idea di dialogo, nonostante il
fastidio che produce in vari ambienti e la deriva retorica cui è ormai
sottoposta, in realtà non è scomparsa, ma piuttosto si è trovata
relegata di fatto ai margini della pastorale. In concreto, diciamo così,
ha cambiato indirizzo: diventando spesso un dialogo laico
sia nel metodo sia nei soggetti coinvolti, un dialogo di cittadini
attivi nella promozione sociale più che di specialisti o di accademici,
un dialogo extra muros più che intra muros. Perché la com/presenza
nello stesso territorio di differenze nazionali, linguistiche,
religiose, comporta necessariamente trasformazione notevoli non solo a
livello delle forme religiose, ma anche sul piano istituzionale,
strutturale, politico e legislativo. Così, vanno moltiplicandosi
laboratori in progress i cui protagonisti sono sindaci e
assessori, operatori sociali e culturali, insegnanti e persone comuni:
laboratori sempre più contagiosi e considerabili la normalità più che
solo una pur felice eccezione. Da accostare, certo, ai dialoghi di
vertice i cui protagonisti sono invece i leader religiosi: utili, ma –
come credo si sia ormai colto - insufficienti a produrre quel clima
dialogico, di curiosità e accoglienza vicendevole di cui ci sarebbe
un’estrema necessità.
Con i più fraterni auguri di shalom – salaam – pace
Brunetto Salvarani
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