Un’ approfondita analisi per «un vero esame di coscienza», in modo da «preparare il nostro cuore al Sacramento della Riconciliazione prima del Santo Natale»: è quello che Francesco ha consegnato alla Curia romana nel tradizionale incontro pre-natalizio del Papa con i suoi più stretti collaboratori nel servizio alla Chiesa.
Una riflessione, quella del Santo Padre, che ha scelto la forma del «catalogo delle malattie» (come lui stesso l’ha definito, richiamando i «Padri del deserto»), con l’elencazione di ben 15 mali su cui riflettere, partendo però dalla gratitudine – «Desidero insieme a voi elevare al Signore un vivo e sentito ringraziamento per l’anno che ci sta lasciando», per «tutto il bene che Egli ha voluto generosamente
compiere attraverso il servizio della Santa Sede» – per poi giungere a un’umile richiesta di «perdono per le mancanze commesse "in pensieri, parole, opere e omissioni"». La Curia – nota il Papa prima di esaminare le "malattie" – è un corpo dinamico», «non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi», «senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo»: «Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel cibo diventerà un burocrate – sottolinea Francesco –: un formalista, un funzionalista, un impiegatista». A chi serve la Chiesa è indispensabile «la preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla riconciliazione, il contatto quotidiano con la parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi». Ecco dunque l’elenco delle malattie (nel discorso integrale, reperibile anche sull’edizione di «Avvenire» di martedì 30 dicembre, la loro trattazione analitica). 1. La malattia del sentirsi "immortale", "immune" o addirittura "indispensabile". 2. La malattia del "martalismo" (Marta), dell’eccessiva operosità. 3. La malattia dell’"impietrimento" mentale e spirituale. 4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo. 5. La malattia del mal coordinamento. 6. La malattia dell’Alzheimer spirituale. 7. La malattia della rivalità e della vanagloria. 8. La malattia della schizofrenia esistenziale. 9. La malattia delle chiacchiere, della mormorazione e dei pettegolezzi. 10. La malattia di divinizzare i capi. 11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. 12. La malattia della faccia funerea. 13. La malattia dell’accumulare. 14. La malattia dei circoli chiusi. 15. La malattia del profitto mondano, degli esibizionismi.
compiere attraverso il servizio della Santa Sede» – per poi giungere a un’umile richiesta di «perdono per le mancanze commesse "in pensieri, parole, opere e omissioni"». La Curia – nota il Papa prima di esaminare le "malattie" – è un corpo dinamico», «non può vivere senza nutrirsi e senza curarsi», «senza avere un rapporto vitale, personale, autentico e saldo con Cristo»: «Un membro della Curia che non si alimenta quotidianamente con quel cibo diventerà un burocrate – sottolinea Francesco –: un formalista, un funzionalista, un impiegatista». A chi serve la Chiesa è indispensabile «la preghiera quotidiana, la partecipazione assidua ai Sacramenti, in modo particolare all’Eucaristia e alla riconciliazione, il contatto quotidiano con la parola di Dio e la spiritualità tradotta in carità vissuta sono l’alimento vitale per ciascuno di noi». Ecco dunque l’elenco delle malattie (nel discorso integrale, reperibile anche sull’edizione di «Avvenire» di martedì 30 dicembre, la loro trattazione analitica). 1. La malattia del sentirsi "immortale", "immune" o addirittura "indispensabile". 2. La malattia del "martalismo" (Marta), dell’eccessiva operosità. 3. La malattia dell’"impietrimento" mentale e spirituale. 4. La malattia dell’eccessiva pianificazione e del funzionalismo. 5. La malattia del mal coordinamento. 6. La malattia dell’Alzheimer spirituale. 7. La malattia della rivalità e della vanagloria. 8. La malattia della schizofrenia esistenziale. 9. La malattia delle chiacchiere, della mormorazione e dei pettegolezzi. 10. La malattia di divinizzare i capi. 11. La malattia dell’indifferenza verso gli altri. 12. La malattia della faccia funerea. 13. La malattia dell’accumulare. 14. La malattia dei circoli chiusi. 15. La malattia del profitto mondano, degli esibizionismi.
Ecco le malattie che il Papa, nella udienza alla curia per gli auguri di Natale, ha elencato e analizzato invitando alla riflessione, alla penitenza e alla confessione, in questi giorni che separano dal Natale: La prima è la “malattia del sentirsi immortali, immuni da difetti, trascurando i controlli” un corpo che non fa “autocritica, non aggiorna e non cerca di migliorarsi, è un corpo infermo”. Il Papa ha suggerito una “ordinaria visita ai cimiteri, dove vediamo i nomi di tante persone che si consideravano immuni e indispensabili”.
Questa malattia, ha commentato il Papa, “deriva spesso dalla patologia del potere, dal narcisismo che guarda la propria immagine e non vede il volto di Dio impresso” negli altri, sopratutto “i più deboli”. “Antidoto a questa epidemia – ha suggerito il Pontefice – è la grazia di sentirci peccatori, e il dire ‘siamo servi inutili'”.
La seconda è la “malattia del martalismo, che viene da marta, la malattia della eccessiva operosità”, di coloro che “si immergono nel lavoro trascurando inevitabilmente la parte migliore, il sedersi ai piedi di Gesù”. “Trascurare il necessario riposo – ha ammonito – porta allo stress e alla agitazione” un “tempo di riposo da trascorrere con i familiari è necessario”, come necessario è “rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica”, ricordando quanto dice il libro del biblico del Quelet, ‘c’è un tempo per ogni cosa”.
La terza: “malattia dell’impietrimento mentale e spirituale”, “il cuore di pietra e duro collo di coloro che strada facendo perdono serenità interiore audacia e si nascondono sotto le carte diventando macchine di pratiche e non uomini di Dio”, “è pericoloso perdere la sensibilità umana, ed è la malattia di coloro che perdono i sentimenti di Gesù, il cuore col tempo si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il padre e il prossimo, essere cristiani infatti – ha ricordato il Papa – significa avere gli stessi sentimenti di distacco, donazione e generosità di Gesù”.
La quarta è la “malattia della eccessiva pianificazione e funzionalismo, quando l’apostolo – ha osservato papa Bergoglio – pianifica tutto minuziosamente e crede che le cose progrediscono diventando così un contabile e un commercialista: preparare tutto e bene è necessario, ma senza voler mai richiudere e pilotare la libertà dello Spirito che è più generosa di ogni pianificazione”. “Si cade in questa malattia – ha denunciato papa Francesco – perché è più comodo adagiarsi nella proprie posizioni immutate”, voler “regolare e addomesticare lo Spirito Santo che è freschezza fantasia, novità”. La successiva malattia in agguato per ogni chiesa, curia e gruppo di fedeli elencata dal Papa. La quinta, è la “malattia del mal coordinamento: quando i membri perdono coordinamento tra loro” la curia diventa “un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo Spirito di grazia”. Qui il Papa ha esemplificato parlando tra l’altro della “testa che dice al braccio ‘comando io'”.
La sesta è la “malattia dell’alzheimer spirituale, la dimenticanza della storia della salvezza, della storia personale con il Signore, del primo amore: si tratta – ha spiegato papa Francesco – di un declino progressivo delle facoltà spirituali” che “in un tempo più o meno lungo” rende la persona o il gruppo “incapace di un’attività autonoma, in uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie: lo vediamo – ha rimarcato – in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore, dipendono dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie, che costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini e diventando sempre di più schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani”.
La settima è “la malattia della vanità e vanagloria” di chi vede solo “l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza come vero obiettivo della vita, dimenticando le parole di san Paolo”, e qui il Papa ha citato l’invito paolino a non considerare gli altri secondo il proprio interesse. “Questa malattia – ha denunciato il Pontefice davanti alla curia – ci porta ad essere uomini e donne falsi e a vivere un falso misticismo e un falso pietismo san paolo ‘nemici della croce di cristo’ perchè si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi”.
L’ottava è la “malattia della schizofrenia esistenziale: avere una doppia vita frutto della ipocrisia del mediocre” e “del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare, coloro che abbandonando il servizio pastorale si limitano a pratiche burocratiche, vivono in un loro mondo parallelo dove mettono da parte ciò che insegnano agli altri e iniziano una vita dissoluta”. “La conversione per questa gravissima malattia – ha rimarcato il Papa dopo una frazione di silenzio – è urgente indispensabile”.
La nona malattia è quella “di chiacchiere, mormorazioni pettegolezzi, ne ho parlato tante volte – ha ricordato – ma non è mai abbastanza: è grave, inizia magari per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola diventare seminatrice di zizzania come Satana”. Questa malattia è “delle persone vigliacche, che non avendo il coraggio di parlare direttamente, parlano dietro le spalle”, e anche a questo proposito il Papa ha citato san Paolo con il suo invito a agire senza mormorare, ed essere irreprensibili e puri. “Guardiamoci – ha ancora esortato papa Francesco – dal terrorismo delle chiacchiere”.
La decima è “la malattia di divinizzare i capi, di coloro che corteggiano i superiori sperando di ottenere la benevolenza. Sono vittime di carrierismo e opportunismo, onorano le persone e non Dio, sono persone meschine, infelici, ispirate solo dal proprio fatale egoismo. Questa malattia – ha osservato papa Bergoglio – potrebbe anche colpire i superiori quando corteggiano loro collaboratori per averne lealtà e dipendenza. Ma il risultato finale – ha sottolineato con forza – è una vera complicità”.
L’undicesima: “la malattia dell’indifferenza verso gli altri, quando ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità dei rapporti umani, quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli atri, quando per gelosia o scaltrezza si prova gioia nel vedere altro cadere invece di incoraggiarlo e rialzarlo”.
La dodicesima è “la malattia della faccia funerea, delle persone burbere e arcigne che ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia e trattare gli altri, soprattutto quelli ritenuti inferiori, con rigidezza e arroganza”. La “severità teatrale e pessimismo sterile sono spesso sintomo di insicurezza di sé” ha detto il Papa, che ha invitato a “sforzarsi di essere una persona entusiasta e allegra che trasmette gioia: un cuore pieno di Dio è felice e contagia con la gioia attorno a sè; non perdiamo quello spirito gioioso, pieno di humour e persino autoironico che ci rende persone anche nella situazioni difficili. Quanto bene ci fa una buona dose di santo umorismo e ci farà bene recitare spesso la preghiera di Thomas Moore: io la prego tutti i giorni, mi fa bene”.
La tredicesima malattia, ha spiegato Bergoglio, è quella “dell’accumulare, di chi cerca di riempire un vuoto esistenziale accumulando beni materiali, non per necessità ma solo per sentirsi sicuro”. Il Papa ha ribadito che “il sudario non ha tasche”, cioè che morendo non ci si porta dietro niente “e – ha sottolineato – tutti i tesori terreni, anche se sono regali, non riempiranno quel vuoto”. “A queste persone – ha aggiunto il pontefice – il Signore ripete ‘tu dici sono ricco, non ho bisogno di niente, ma non sai di essere un povero cieco’. L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente”. Ha quindi raccontato un aneddoto: “Un tempo – ha ricordato – i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la ‘cavalleria leggera della Chiesa; ebbene, un giovane gesuita che doveva traslocare e stava sistemando il suo bagaglio, tanti regali, oggetti, si sente dire da un vecchio gesuita saggio, ‘questa sarebbe la cavalleria leggera della Chiesa?’ I nostri traslochi”.
La quattordicesima malattia quella “dei circoli chiusi, dove la appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al corpo e a Cristo stesso. Anche questa inizia sempre da buone intenzioni, ma con il passare del tempo schiavizza diventando un cancro” che causa tanto male e scandali, specialmente ai nostri fratelli più piccoli. La autodistruzione o il fuoco amico dei commilitoni è il pericolo più subdolo”: ‘ogni Regno bene diviso in se stesso va in rovina'”.
Infine, la quindicemia, “l’ultima malattia – ha detto Bergoglio alla curia romana – è quella del profitto mondano, degli esibizionismi, quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani, o per ottenere più potere”. E’ la malattia “delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per questo capaci di calunniare, diffamare e screditare gli altri, persino su giornali e riviste, naturalmente per esibirsi e mostrarsi più capaci degli altri. Fa male al corpo – ha sottolineato il Pontefice – perché porta a usare qualsiasi scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza”. E a questo punto il Papa ha raccontato del prete che chiamava i giornalisti per spiattellargli i difetti dei confratelli, e lo ha chiamato “poverino”. dal web
La seconda è la “malattia del martalismo, che viene da marta, la malattia della eccessiva operosità”, di coloro che “si immergono nel lavoro trascurando inevitabilmente la parte migliore, il sedersi ai piedi di Gesù”. “Trascurare il necessario riposo – ha ammonito – porta allo stress e alla agitazione” un “tempo di riposo da trascorrere con i familiari è necessario”, come necessario è “rispettare le ferie come momenti di ricarica spirituale e fisica”, ricordando quanto dice il libro del biblico del Quelet, ‘c’è un tempo per ogni cosa”.
La terza: “malattia dell’impietrimento mentale e spirituale”, “il cuore di pietra e duro collo di coloro che strada facendo perdono serenità interiore audacia e si nascondono sotto le carte diventando macchine di pratiche e non uomini di Dio”, “è pericoloso perdere la sensibilità umana, ed è la malattia di coloro che perdono i sentimenti di Gesù, il cuore col tempo si indurisce e diventa incapace di amare incondizionatamente il padre e il prossimo, essere cristiani infatti – ha ricordato il Papa – significa avere gli stessi sentimenti di distacco, donazione e generosità di Gesù”.
La quarta è la “malattia della eccessiva pianificazione e funzionalismo, quando l’apostolo – ha osservato papa Bergoglio – pianifica tutto minuziosamente e crede che le cose progrediscono diventando così un contabile e un commercialista: preparare tutto e bene è necessario, ma senza voler mai richiudere e pilotare la libertà dello Spirito che è più generosa di ogni pianificazione”. “Si cade in questa malattia – ha denunciato papa Francesco – perché è più comodo adagiarsi nella proprie posizioni immutate”, voler “regolare e addomesticare lo Spirito Santo che è freschezza fantasia, novità”. La successiva malattia in agguato per ogni chiesa, curia e gruppo di fedeli elencata dal Papa. La quinta, è la “malattia del mal coordinamento: quando i membri perdono coordinamento tra loro” la curia diventa “un’orchestra che produce chiasso, perché le sue membra non collaborano e non vivono lo Spirito di grazia”. Qui il Papa ha esemplificato parlando tra l’altro della “testa che dice al braccio ‘comando io'”.
La sesta è la “malattia dell’alzheimer spirituale, la dimenticanza della storia della salvezza, della storia personale con il Signore, del primo amore: si tratta – ha spiegato papa Francesco – di un declino progressivo delle facoltà spirituali” che “in un tempo più o meno lungo” rende la persona o il gruppo “incapace di un’attività autonoma, in uno stato di assoluta dipendenza dalle sue vedute spesso immaginarie: lo vediamo – ha rimarcato – in coloro che hanno perso la memoria del loro incontro con il Signore, dipendono dal loro presente, dalle loro passioni, capricci e manie, che costruiscono intorno a sé dei muri e delle abitudini e diventando sempre di più schiavi degli idoli che hanno scolpito con le loro stesse mani”.
La settima è “la malattia della vanità e vanagloria” di chi vede solo “l’apparenza, i colori delle vesti e le insegne di onorificenza come vero obiettivo della vita, dimenticando le parole di san Paolo”, e qui il Papa ha citato l’invito paolino a non considerare gli altri secondo il proprio interesse. “Questa malattia – ha denunciato il Pontefice davanti alla curia – ci porta ad essere uomini e donne falsi e a vivere un falso misticismo e un falso pietismo san paolo ‘nemici della croce di cristo’ perchè si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi”.
L’ottava è la “malattia della schizofrenia esistenziale: avere una doppia vita frutto della ipocrisia del mediocre” e “del progressivo vuoto spirituale che lauree o titoli accademici non possono colmare, coloro che abbandonando il servizio pastorale si limitano a pratiche burocratiche, vivono in un loro mondo parallelo dove mettono da parte ciò che insegnano agli altri e iniziano una vita dissoluta”. “La conversione per questa gravissima malattia – ha rimarcato il Papa dopo una frazione di silenzio – è urgente indispensabile”.
La nona malattia è quella “di chiacchiere, mormorazioni pettegolezzi, ne ho parlato tante volte – ha ricordato – ma non è mai abbastanza: è grave, inizia magari per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola diventare seminatrice di zizzania come Satana”. Questa malattia è “delle persone vigliacche, che non avendo il coraggio di parlare direttamente, parlano dietro le spalle”, e anche a questo proposito il Papa ha citato san Paolo con il suo invito a agire senza mormorare, ed essere irreprensibili e puri. “Guardiamoci – ha ancora esortato papa Francesco – dal terrorismo delle chiacchiere”.
La decima è “la malattia di divinizzare i capi, di coloro che corteggiano i superiori sperando di ottenere la benevolenza. Sono vittime di carrierismo e opportunismo, onorano le persone e non Dio, sono persone meschine, infelici, ispirate solo dal proprio fatale egoismo. Questa malattia – ha osservato papa Bergoglio – potrebbe anche colpire i superiori quando corteggiano loro collaboratori per averne lealtà e dipendenza. Ma il risultato finale – ha sottolineato con forza – è una vera complicità”.
L’undicesima: “la malattia dell’indifferenza verso gli altri, quando ognuno pensa solo a se stesso e perde la sincerità dei rapporti umani, quando si viene a conoscenza di qualcosa e la si tiene per sé invece di condividerla positivamente con gli atri, quando per gelosia o scaltrezza si prova gioia nel vedere altro cadere invece di incoraggiarlo e rialzarlo”.
La dodicesima è “la malattia della faccia funerea, delle persone burbere e arcigne che ritengono che per essere seri occorra dipingere il volto di malinconia e trattare gli altri, soprattutto quelli ritenuti inferiori, con rigidezza e arroganza”. La “severità teatrale e pessimismo sterile sono spesso sintomo di insicurezza di sé” ha detto il Papa, che ha invitato a “sforzarsi di essere una persona entusiasta e allegra che trasmette gioia: un cuore pieno di Dio è felice e contagia con la gioia attorno a sè; non perdiamo quello spirito gioioso, pieno di humour e persino autoironico che ci rende persone anche nella situazioni difficili. Quanto bene ci fa una buona dose di santo umorismo e ci farà bene recitare spesso la preghiera di Thomas Moore: io la prego tutti i giorni, mi fa bene”.
La tredicesima malattia, ha spiegato Bergoglio, è quella “dell’accumulare, di chi cerca di riempire un vuoto esistenziale accumulando beni materiali, non per necessità ma solo per sentirsi sicuro”. Il Papa ha ribadito che “il sudario non ha tasche”, cioè che morendo non ci si porta dietro niente “e – ha sottolineato – tutti i tesori terreni, anche se sono regali, non riempiranno quel vuoto”. “A queste persone – ha aggiunto il pontefice – il Signore ripete ‘tu dici sono ricco, non ho bisogno di niente, ma non sai di essere un povero cieco’. L’accumulo appesantisce solamente e rallenta il cammino inesorabilmente”. Ha quindi raccontato un aneddoto: “Un tempo – ha ricordato – i gesuiti spagnoli descrivevano la Compagnia di Gesù come la ‘cavalleria leggera della Chiesa; ebbene, un giovane gesuita che doveva traslocare e stava sistemando il suo bagaglio, tanti regali, oggetti, si sente dire da un vecchio gesuita saggio, ‘questa sarebbe la cavalleria leggera della Chiesa?’ I nostri traslochi”.
La quattordicesima malattia quella “dei circoli chiusi, dove la appartenenza al gruppetto diventa più forte di quella al corpo e a Cristo stesso. Anche questa inizia sempre da buone intenzioni, ma con il passare del tempo schiavizza diventando un cancro” che causa tanto male e scandali, specialmente ai nostri fratelli più piccoli. La autodistruzione o il fuoco amico dei commilitoni è il pericolo più subdolo”: ‘ogni Regno bene diviso in se stesso va in rovina'”.
Infine, la quindicemia, “l’ultima malattia – ha detto Bergoglio alla curia romana – è quella del profitto mondano, degli esibizionismi, quando l’apostolo trasforma il suo servizio in potere e il suo potere in merce per ottenere profitti mondani, o per ottenere più potere”. E’ la malattia “delle persone che cercano insaziabilmente di moltiplicare poteri e per questo capaci di calunniare, diffamare e screditare gli altri, persino su giornali e riviste, naturalmente per esibirsi e mostrarsi più capaci degli altri. Fa male al corpo – ha sottolineato il Pontefice – perché porta a usare qualsiasi scopo, spesso in nome della giustizia e della trasparenza”. E a questo punto il Papa ha raccontato del prete che chiamava i giornalisti per spiattellargli i difetti dei confratelli, e lo ha chiamato “poverino”. dal web
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