Sulle dimissioni Papa Benedetto XVI annunciate l' 11 Febbraio giorno in cui ricorre l' anniversario delle apparizioni della Madonna nella Grotta di Lourdes, si riporta l' Autorevole Intervento del presidente del Museo Storico della Liberazione di Roma dott. Antonio Parisella ( già docente presso l'Università di Parma..), che la nostra Associazione di Pace gli ha da poco conferito il "Premio Internazionale per la Pace e i Diritti Umani"
Era iniziata come una risposta breve a uno scambio di battute seguito ad una osservazione di Lucia Vincenti. Visto che è uscito qualcosa in più, ve lo propongo come una provvisoria e circoscritta riflessione.
Credo che le dimissioni di Ratzinger siano l'atto più alto del suo magistero. Il richiamo alla finitezza umana e alla grandezza di Dio. E il richiamo alla realtà umana di un papa, per nulla esaltante, ma fragile. Un gesto di
grande responsabilità e richiamo alle responsabilità degli altri membri del collegio cardinalizio e delle conferenze episcopali sul futuro di una chiesa, la cattolica, da un lato dilaniata da contrasti e affarismi interni (lasciati intravedere dalle vicende post-pedofilia, dalle traversie finanziarie, dai vatican-leeks), dall'altro con la difficile situazione dei cristiani d'Oriente, d'Africa e India, vittime e protagonisti di sanguinosi conflitti religiosi-etnici nei quali non possono sempre rivendicare l'innocenza, anche se spesso ne sono vittime. Non credo al rapporto magico di assistenza divina, quasi come una macchinetta che guida, ma alla promessa di assistenza di Dio alla sua chiesa se i suoi pastori ne osservano la volontà contenuta nelle scritture e nell'aderenza storica alla condizione umana. I sei papi che ho visto mi hanno presentato sei modi diversi di concepire il rapporto fra chiesa e mondo, ma da due di essi, Giovanni XXIII e Paolo VI, ho appreso che la forza del messaggio biblico va misurata con l'incertezza e la fragilità, ma anche l'inequivocabilità dei "segni dei tempi", cioè con la condizione umana storicamente determinata. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno nascosto tale rapporto all'interno di un discorso di natura filosofico/teologica sulla storia fin quasi a farlo scomparire. Tra i commenti di questi giorni (anche prima delle dimissioni) il teologo Vito Mancuso e lo storico Alberto Melloni (oltre che il recuperato e sempre affascinante mons. Luigi Bettazzi, strenuo rivendicatore dell'aderenza reale al Concilio Vaticano II) sono quelli che meglio hanno espresso queste idee.
Ci si avvia al 500° anniversario della Riforma (1517-2017) e forse una riflessione ecumenica con le culture che ne sono nate - senza arenarsi sul papismo e antipapismo - potrebbe anche su questo fare meglio comprendere le cose.(di Antonio PARISELLA)
Era iniziata come una risposta breve a uno scambio di battute seguito ad una osservazione di Lucia Vincenti. Visto che è uscito qualcosa in più, ve lo propongo come una provvisoria e circoscritta riflessione.
Credo che le dimissioni di Ratzinger siano l'atto più alto del suo magistero. Il richiamo alla finitezza umana e alla grandezza di Dio. E il richiamo alla realtà umana di un papa, per nulla esaltante, ma fragile. Un gesto di
grande responsabilità e richiamo alle responsabilità degli altri membri del collegio cardinalizio e delle conferenze episcopali sul futuro di una chiesa, la cattolica, da un lato dilaniata da contrasti e affarismi interni (lasciati intravedere dalle vicende post-pedofilia, dalle traversie finanziarie, dai vatican-leeks), dall'altro con la difficile situazione dei cristiani d'Oriente, d'Africa e India, vittime e protagonisti di sanguinosi conflitti religiosi-etnici nei quali non possono sempre rivendicare l'innocenza, anche se spesso ne sono vittime. Non credo al rapporto magico di assistenza divina, quasi come una macchinetta che guida, ma alla promessa di assistenza di Dio alla sua chiesa se i suoi pastori ne osservano la volontà contenuta nelle scritture e nell'aderenza storica alla condizione umana. I sei papi che ho visto mi hanno presentato sei modi diversi di concepire il rapporto fra chiesa e mondo, ma da due di essi, Giovanni XXIII e Paolo VI, ho appreso che la forza del messaggio biblico va misurata con l'incertezza e la fragilità, ma anche l'inequivocabilità dei "segni dei tempi", cioè con la condizione umana storicamente determinata. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno nascosto tale rapporto all'interno di un discorso di natura filosofico/teologica sulla storia fin quasi a farlo scomparire. Tra i commenti di questi giorni (anche prima delle dimissioni) il teologo Vito Mancuso e lo storico Alberto Melloni (oltre che il recuperato e sempre affascinante mons. Luigi Bettazzi, strenuo rivendicatore dell'aderenza reale al Concilio Vaticano II) sono quelli che meglio hanno espresso queste idee.
Ci si avvia al 500° anniversario della Riforma (1517-2017) e forse una riflessione ecumenica con le culture che ne sono nate - senza arenarsi sul papismo e antipapismo - potrebbe anche su questo fare meglio comprendere le cose.(di Antonio PARISELLA)
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